mercoledì 30 luglio 2014

Divorzio e partecipazione ai sacramenti




Riflettiamo insieme: propongo a puntate un articolo di Raniero La Valle, giornalista, politico ed intellettuale italiano sul problema del divorzio, separazioni, e partecipazione ai sacramenti nella pratica, nel pensiero e decisioni della Chiesa. Tutti sappiamo, almeno dovremmo sapere, che Papa Francesco ha indetto un sinodo speciale dei Vescovi, per trattare questi argomenti nella prospettiva di una nuova e più efficace pastorale sulla famiglia. I lavori di questo sinodo termineranno nel 2015. Allora sapremo quali saranno le novità, se ve ne saranno e che molti attendono, o le decisioni dei vescovi a riguardo.
Mi sembra giusto e opportuno che anche noi laici riflettiamo e ci informiamo su questi argomenti che riguardano ormai diverse migliaia di fedeli e non, e la nostra partecipazione e comunione nella Chiesa, popolo di Dio. Non interessarsi a questi problemi vuol dire disinteresse verso la società, la nostra vita cristiana, e una mancanza verso i fratelli che soffrono certe situazioni di disagio nella loro vita di fede.

Queste puntate vogliono essere un invito anche a dire la propria opinione con commenti in queste pagine e anche nell’ambito del nostro quotidiano. L’articolo originale di Raniero La Valle è: Divorzio e nuove nozze _ GESÙ E LA DONNA DAI CINQUE MARITI



Prima puntata: Divorzio e partecipazione ai sacramenti

Della comunione ai cattolici che dopo un divorzio vivono un secondo matrimonio, ormai si discute in tutta la Chiesa. La decisione sarà presa dal Sinodo dei vescovi, ma è adesso che se ne stanno ponendo le premesse dopo le caute aperture del Papa e l’ipotesi fatta al Concistoro dal cardinale Kasper,  di una riammissione all’eucaristia dei divorziati risposati dopo un percorso penitenziale, sulla scia della Chiesa antica e in sintonia con la Chiesa ortodossa orientale.

Al di là della soluzione proposta, l’approccio del cardinale Kasper è di straordinario valore: da un lato perché dalla dottrina dell’indissolubilità oggi vigente  egli torna alla fonte da cui è scaturita, cioè al Vangelo che “non è una legge scritta ma è la grazia dello Spirito Santo” (lo diceva pure san Tommaso), e dall’altro perché mette in guardia rispetto a una prassi ecclesiale che a partire dalla negazione dell’eucaristia ai genitori divorziati, rischia di separare dai sacramenti e dalla fede i loro figli, così che “perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo”.

Durissimo però è il fuoco di sbarramento già lanciato da quanti si oppongono ad ogni cambiamento della disciplina ecclesiastica in materia, che a loro parere la Chiesa stessa non avrebbe il potere di modificare; e tra i più agguerriti difensori di tale ortodossia non ci sono solo prelati credenti, ma anche atei devoti che, come Giuliano Ferrara, si proclamano non credenti che vogliono vivere in un mondo di credenti, ritenuto molto più funzionale per loro.

Anche per la pressione di questi strumentalismi esterni, il dibattito ecclesiale rischia di polarizzarsi su posizioni radicalmente contrapposte che non rendono onore all’oggetto del contendere, quando l’oggetto del contendere comprende beni preziosissimi che sono cari ad ambedue le parti in contrasto tra loro, e cioè il significato dell’eucaristia, l’accoglimento e la retta interpretazione delle parole di Gesù, la capacità risanatrice e salvifica della Chiesa, la misericordia e la tenerezza di Dio. C’è il rischio che per difendere la propria tesi si rovesci il senso delle cose, che ad esempio un dono di Dio diventi un giogo, o che una scelta fatta per amore di Dio sia imputata a peccato, o che il primato della coscienza degeneri in anomia.

È più morale un divorzio che una falsa nullità

C’è anche il rischio che, per accorciare le distanze tra le due parti, si cerchino formule di compromesso, prive di verità e di vita, magari adottando le scelte proposte da una parte mantenendo però gli argomenti sostenuti dall’altra. Sarebbe questo il caso del tentativo di conseguire gli stessi obiettivi del divorzio estendendo oltre misura le pronunzie di nullità del matrimonio, ad esempio mettendo in dubbio il carattere veramente sacramentale di matrimoni celebrati senza vera convinzione di fede. 

In questo modo, si pensa, sarebbero tutti contenti: i coniugi che potrebbero risposarsi in chiesa, i custodi dell’ortodossia che vedrebbero salvaguardato il principio dell’indissolubilità, e la Chiesa istituita che con i suoi tribunali regolerebbe il traffico mantenendo comunque il controllo dei matrimoni validi o nulli, primi o secondi che siano. 

Ma il risultato sarebbe una strage di matrimoni, perché sarebbero revocati nel nulla, come mai esistiti, come mai amati da Dio, come mai appartenuti alla vita e sede di amore tra i coniugi, matrimoni invece realissimi, fecondi di figli, veri o imperfetti sacramenti che fossero e, semplicemente, finiti.  È molto più alto moralmente un divorzio con sofferenza e riconoscimento di un insuccesso, che la finzione di un matrimonio, magari pur ricco di valori e di amore, che venga negato come non esistente fin dal principio. 

E non si dica che nel matrimonio annullato non poteva esservi stato amore, perché l’amore vero non finisce. Non è così, perché nella condizione delle creature anche un vero amore può finire. Perciò ha ragione il cardinale Kasper quando sostiene che “molti divorziati non vogliono la dichiarazione di nullità. Dicono: abbiamo vissuto insieme, abbiamo avuto figli; questa era una realtà, che non si può dichiarare nulla, spesso solo per ragione di mancanza di forma canonica del primo matrimonio”. Perciò bisogna affrontare la vera questione, che è quella della dissoluzione di un matrimonio valido tra battezzati, in cui non sia stato più possibile mantenere il rapporto coniugale.

lunedì 28 luglio 2014

«Ogni popolo guardi il dolore dell’altro. E la pace sarà vicina»







Questo testo è stato scritto dal cardinale Carlo Maria Martini alla fine del mese di agosto del 2003 in un momento di grave crisi e tensione tra Israele e Palestina.

Purtroppo dopo 13 anni è più che mai di grande attualità...

«Ogni popolo guardi il dolore dell’altro. E la pace sarà vicina» di Cardinale CARLO MARIA MARTINI*

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli! Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.

È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all'Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c'è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è comparabile a lui. Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler «usare» la divinità o comunque un principio assoluto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri.

Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere ( politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. E' l'idolo del volere stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano.

Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice tante volte la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell'idolo diventa cieco riguardo al volto umano dell'altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex - terroristi degli anni '80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: "non vedevamo più il volto degli altri".

Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c'è un'adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruttrice chiunque renda loro omaggio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere l'altro e alla fine distrugge se stesso. Già san Paolo ammoniva: "se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". E ancora: "Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7).

Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata dell'uomo. Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza.

È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.

Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell'Onu e quelle dell'Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno politico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.

Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta.

Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al disopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.

27 agosto 2003

da Internet, Corriere della sera



lunedì 14 luglio 2014

CHIESA: Soprattutto uomini, semplicemente santi che sognano la chiesa di domani




La Chiesa siamo noi, ma dobbiamo costruirla giorno per giorno
Come sogni la Chiesa di domani?
Così titola la sua lettera pastorale Mons. F. G. Brambilla, Vescovo di Novara. A me piacerebbero tante cose nella "mia" Chiesa di domani. Provo ad elencarne due.

Per andare in paradiso

Un uomo andò in paradiso. Appena giunto alla porta coperta di perle incontrò S. Pietro che gli disse: "Ci vogliono 1.000 punti per essere ammessi. Le buone opere da te compiute determineranno i tuoi punti". L'uomo rispose: "A parte le poche volte in cui ero ammalato, ho ascoltato la Messa ed ho cantato nel coro". "Quello fa 50 punti", disse San Pietro. "Ho sempre messo una bella sommetta nel piatto dell'elemosina che il sacrestano metteva davanti a me durante la Messa". "Quello vale 25 punti", disse San Pietro. Il pover'uomo, vedendo che aveva solo 75 punti, cominciò a disperarsi. "La domenica ho fatto scuola di Catechismo -disse- e mi pare che sia una bella opera per Iddio". "Sì - disse san Pietro - e quello fa altri 25 punti". L'uomo ammutolì, poi aggiunse: "Se andiamo avanti così, sarà solo la Grazia di Dio che mi darà accesso al paradiso". San Pietro sorrise: "Quello fa 900 punti. Entra pure".


Cristo, pietra angolare

Non c'è Chiesa senza Cristo. Lui è la "pietra angolare" su cui poggia ogni forma e stile di Chiesa. La Chiesa non crollerà perché c'è Lui alle fondamenta. Solo la Grazia di Dio salverà la Chiesa e noi con lei; non i papi e i vescovi, non le grandi opere o le cattedrali, non i catechismi che si fanno o i sacramenti che si amministrano, non le offerte o le adozioni a distanza… Tutte cose buone e sante. Ma siamo noi a compierle, e il rischio è di puntare su di noi, sulle nostre buone opere, quasi come una carta-password per assicurarci un posto.

Ricordi la scenetta del fariseo che va davanti all'altare ed esalta enumerandole una a una tutte le sue buone azioni, i suoi fioretti? Niente da fare. Un pubblicano là in fondo si batteva il petto. Questi si salva perché poggia su Cristo. Costruire la Chiesa è costruire su Cristo. "Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale" (1Pt 2,4-5). Questo testo famoso afferma la stretta relazione tra Cristo "pietra viva" e noi che siamo edificati come "pietre vive" del tempio santo di Dio.

La Chiesa non è mia ma del Signore


Lo ha detto Benedetto XVI il giorno prima di lasciare il suo ministero. "La Chiesa, la diocesi, la parrocchia, non è nostra, ma è del Signore. Si deve sperimentare che la Chiesa è uno spazio di libertà e di amore, di prossimità e di vicinanza. È un luogo dove la gente trova casa, dove respira, per ritornare a vivere la famiglia e il lavoro, l'impegno sociale e la vita di carità, con più scioltezza e speranza".
 Solo se è del Signore, la Chiesa e la parrocchia non sono un "recinto chiuso", ma hanno le porte aperte agli altri. Ama la parrocchia vicina come se fosse la tua! Camminiamo insieme sul territorio per servire meglio le persone… Dobbiamo lasciarci edificare da Cristo come "edificio spirituale". La casa spirituale si costruisce come un "tempio" di "pietre vive". La pietra è un materiale inerte, amorfo, sovente senza forma, spigoloso e ruvido. Ha bisogno di lasciarsi sagomare, lisciare, scolpire, lavorare perché ciascuna pietra trovi il suo posto per costruire la grande cattedrale. Edificare la grande chiesa con pietre vive, ben accoppiate, dove ci sono i massi portanti, le colonne slanciate, i capitelli preziosi, le statue, i decori, le guglie, esige che ciascuno trovi la propria vocazione e s'inserisca nella sinfonia della comunione. È un'opera comune di Dio che esige di lasciarsi continuamente posare sul fondamento che è Cristo. La chiesa di domani potrà sopravvivere non come l'opera di un solista, ma come una musica corale e sinfonica”.

Soprattutto uomini, semplicemente santi


Mons. Tonino Bello rivolgendosi si ragazzi dell'A. C. nel 1990 diceva: "Siate soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perché essere uomini fino in cima significa essere santi. Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete. E, oltre che iscritti all'Azione Cattolica siate esperti di cattolicità attiva: capaci, cioè, di accoglienze ecumeniche, provocatori di solidarietà planetarie, missionari "fino agli estremi confini" profeti di giustizia e di pace. E, più che tesserati, siate distributori di tessere di riconoscimento, per tutto ciò che è diverso da voi, disposti a pagare con la pelle il prezzo di quella comunione per la quale Gesù Cristo, vostro incredibile amore, ha dato la vita".

Sogno una Chiesa piena di uomini e donne in pienezza, fino in cima! Non mezze cartucce che si strusciano intorno al prete di turno mettendosi gli uni contro gli altri, non bigotti che vivono soltanto di ripetizione di riti e processioni a uso personale, ma uomini veri preoccupati soprattutto che tutti possano essere uomini veri.

Così sogno la Chiesa di domani: una pietra angolare e tante pietre vive! che sia la casa e la scuola della prossimità!


(Teologo Borèl) Febbraio 2014 - autore: Giuliano Palizzi

martedì 8 luglio 2014

La chiesa e gli ultimi: il richiamo di Papa Francesco





La chiesa e gli ultimi: il richiamo di Papa Francesco




La chiesa e gli ultimi: Papa Francesco sta ricordando a tutti noi, popolo di Dio sua Chiesa, e anche ai potenti della terra, che esistono i poveri, i diseredati, i disperati, i disprezzati, gli abbandonati, i maltrattati, gli ingannati. Che esiste una parte del nostro mondo egoista, indifferente, omicida, noncurante di chi soffre, di chi subisce. In questo post don Gianni Epifani ci parla di alcune prese di posizioni di papa Francesco.
Attenzione: a molti “piace” questo papa, ma quanti di noi seguiamo i suoi esempi, ci compromettiamo come Lui, siamo capaci di combattere in prima linea, preghiamo per il cambiamento e conversione dei cuori ambiziosi che denunciamo 

I viaggi di Papa Francesco di  don Gianni Epifani 

Vicinanza, perdono e coraggio. Le tappe di un cammino
È trascorso un anno dal viaggio di Papa Francesco a Lampedusa. Lo storico approdo – nella terra che, per prima in Italia, accoglie gli immigrati – è stato la testimonianza di una Chiesa vicina a chi soffre, una Chiesa presente dove ci sono dolore e disperazione, una Chiesa afflitta per l’indifferenza dilagante, figlia della cultura del benessere.
Sicuramente non è stato un caso che il Santo padre abbia scelto di visitare un altro luogo “difficile” del nostro Paese. Il recente viaggio a Cassano allo Jonio si è posto infatti in una sorta di continuità ideale con quello fatto nell’isola degli sbarchi
La presenza di Papa Francesco nella terra in cui sono maturati due efferati omicidi, quello del piccolo Cocò e quello di padre Lazzaro, di matrice diversa – uno legato alla malavita locale, l’altro all’ordinario lavoro di accoglienza e aiuto del sacerdote verso i bisognosi – è stata altrettanto significativa.
Ha dimostrato una volta di più che la Chiesa è accanto a chi ha bisogno, che cammina con i deboli e con le vittime, che li sostiene. Ma anche una Chiesa che è capace di chiedere perdono.
“Vengo per chiedere scusa” aveva annunciato il Papa, riferendosi al fatto di aver sottratto a quella comunità, particolarmente bisognosa, le cure del proprio vescovo, mons. Nunzio Galantino, chiamato a Roma come segretario generale della Cei.
Questa richiesta di perdono però sembra andare oltre la circostanza legata all’incarico conferito al vescovo. Sembra essere l’esemplare e umile attestazione di una Chiesa capace di riconoscere
quando sente di non essere stata presente in modo forte accanto ai suoi fedeli, soprattutto laddove il bisogno è più vivo.
E il concetto del perdono torna anche nel viaggio pastorale in Molise.
“Dio non si stanca di perdonare” è stato il motto scelto per accompagnare questa visita che, al tema della misericordia divina, ha affiancato il messaggio di una Chiesa che predilige i piccoli e che da questi parte per lanciare a tutti la sfida del coraggio nel futuro.
Questi tre viaggi sono parte di uno stesso percorso, di una storia che vede la Chiesa “in uscita” verso i semplici, gli umili, i bisognosi. Una Chiesa vera testimone del messaggio evangelico. Una Chiesa che sa trovare, con Papa Francesco, gli argomenti giusti per essere credibile.

Don Gianni Epifani, sacerdote e giornalista
Dalla Rivista A SUA IMMAGINE

lunedì 7 luglio 2014

IL CRISTIANO QUANTO E' DISPOSTO A PAGARE?




Il pastore e la gabbia vuota

C'era una volta un uomo di nome George Thomas, era pastore protestante e viveva in un piccolo paese. Una mattina della Domenica di Pasqua stava recandosi in Chiesa, portando con sé una gabbia arrugginita.

La sistemò vicino al pulpito. La gente era alquanto scioccata. Come risposta alla motivazione, il pastore cominciò a parlare.....

"Ieri stavo passeggiando quando vidi un ragazzo con questa gabbia. Nella gabbia c'erano tre uccellini, tremavano dal freddo e per lo spavento. Fermai il ragazzo e gli chiesi:
"Cos'hai lì, figliolo?". "Tre vecchi uccellini" fu la risposta.
"Cosa farai di loro?" chiese "Li porto a casa e mi divertirò con loro", rispose il ragazzo. "Li stuzzicherò, strapperò le piume così litigheranno. Mi divertirò tantissimo".
"Ma presto o tardi ti stancherai di loro. Allora cosa farai?". "Oh, ho dei gatti," disse il ragazzo. "A loro piacciono gli uccelli, li darò a loro".

Il pastore rimase in silenzio per un momento. "Quanto vuoi per questi uccelli, figliolo?"."Cosa??!!! Perché, mica li vorrai signore, sono uccelli di campo, niente di speciale. Non cantano. Non sono nemmeno belli!"
"Quanto?" chiese di nuovo il pastore. Pensando fosse pazzo il ragazzo disse, "$10?"
I l pastore prese $10 dalla sua tasca e li mise in mano al ragazzo. Come un fulmine il ragazzo sparì. Il pastore prese la gabbia e con delicatezza andò in un campo dove c'erano alberi e erba. Aprì la gabbia e con gentilezza lasciò liberi gli uccellini.

Così si spiega il motivo per la gabbia vuota accanto al pulpito
.
Poi iniziò a raccontare questa storia.

Un giorno Satana e Gesù stavano conversando. Satana era appena ritornato dal Giardino dell'Eden, era borioso e si gonfiava di superbia. "Sì, Signore, ho appena catturato l'intera umanità. Ho usato una trappola che sapevo non avrebbe trovato resistenza, ho usato un'esca che sapevo ottima. Li ho presi tutti!"
"Cosa farai con loro?" chiese Gesù e Satana rispose:
"Oh, mi divertirò con loro! Gli insegnerò come sposarsi divorziare, come odiare e farsi male a vicenda, come bere e fumare e bestemmiare. Gli insegnerò a fabbricare armi da guerra, fucili e bombe e ammazzarsi fra di loro. Mi divertirò un mondo!"

"E poi, quanto hai finito di giocare con loro, cosa ne farai?", chiese Gesù.
"Oh, li ucciderò," esclamò Satana con superbia.

 "Quanto vuoi per loro?" chiese Gesù
"Ma va, non la vuoi questa gente. Non sono per niente buoni, sono cattivi. Li prenderai e ti odieranno. Ti sputeranno addosso, ti bestemmieranno e ti uccideranno. No, non puoi volerli!!"

"Quanto?" chiese di nuovo Gesù.
Satana guardò Gesù e sogghignando disse: "Tutto il tuo sangue, tutte le tue lacrime e la tua vita."

Gesù disse: "Affare fatto!". E poi Gesù pagò il prezzo.



Il pastore prese la gabbia e lasciò il pulpito.

http://www.donboscoland.it

domenica 6 luglio 2014

Una piccola provocazione per i catechisti (con tanto affetto). Ma i catechisti sono chiamati soltanto a questo?

Una piccola provocazione per i catechisti (con tanto affetto): ma il catechista non è solo questo...forse anche alcuni sacerdoti hanno qualcosa da rivedere

 Condiviso da You Tube ( se vuoi commenta e dì la tua)
Mi è stato commissionato un video per provocare una piccola riflessione sull'attuale metodologia catechistica della mia diocesi.
Troppo spesso il catechismo viene visto come finalizzato ai sacramenti, un onere da portare avanti, un affare privato dei catechisti.
Io penso che per attenuare la fatica ed ampliare i frutti occorra che TUTTA LA COMUNITA' PARROCCHIALE si senta partecipe; vengano coinvolte LE FAMGLIE dei bambini; si consideri il "catechismo" come un PERCORSO DI VITA, da 0 a 200 anni.
Chiedo scusa all'autore dei disegni se mi sono permesso di modificare le sue bellissime vignette senza la sua autorizzazione, ma pur avendolo cercato non sono riuscito a trovarlo. Le tavole le ho tratte da elledici.org, dove potete trovarne altre divertenti.
Le canzoni di sottofondo sono "Occhietti furbetti" di Stefano Rava (in una versione da me ritoccata) e "Ventiquattro piedi siamo" di Michele Paulicelli tratta dal musical "Forza Venite 

Tappe e significati di un cammino di PAPA FRANCESCO




La chiesa e gli ultimi: il richiamo di Papa Francesco


La chiesa e gli ultimi: Papa Francesco sta ricordando a tutti noi, popolo di Dio sua Chiesa, e anche ai potenti della terra, che esistono i poveri, i diseredati, i disperati, i disprezzati, gli abbandonati, i maltrattati, gli ingannati. Che esiste una parte del nostro mondo egoista, indifferente, omicida, noncurante di chi soffre, di chi subisce. In questo post don Gianni Epifani ci parla di alcune prese di posizioni di papa Francesco.
Attenzione: a molti “piace” questo papa, ma quanti di noi seguiamo i suoi esempi, ci compromettiamo come Lui, siamo capaci di combattere in prima linea, preghiamo per il cambiamento e conversione dei cuori ambiziosi che denunciamo 

I viaggi di Papa Francesco di  don Gianni Epifani 

Vicinanza, perdono e coraggio. Le tappe di un cammino
È trascorso un anno dal viaggio di Papa Francesco a Lampedusa. Lo storico approdo – nella terra che, per prima in Italia, accoglie gli immigrati – è stato la testimonianza di una Chiesa vicina a chi soffre, una Chiesa presente dove ci sono dolore e disperazione, una Chiesa afflitta per l’indifferenza dilagante, figlia della cultura del benessere.
Sicuramente non è stato un caso che il Santo padre abbia scelto di visitare un altro luogo “difficile” del nostro Paese. Il recente viaggio a Cassano allo Jonio si è posto infatti in una sorta di continuità ideale con quello fatto nell’isola degli sbarchi
La presenza di Papa Francesco nella terra in cui sono maturati due efferati omicidi, quello del piccolo Cocò e quello di padre Lazzaro, di matrice diversa – uno legato alla malavita locale, l’altro all’ordinario lavoro di accoglienza e aiuto del sacerdote verso i bisognosi – è stata altrettanto significativa.
Ha dimostrato una volta di più che la Chiesa è accanto a chi ha bisogno, che cammina con i deboli e con le vittime, che li sostiene. Ma anche una Chiesa che è capace di chiedere perdono.
“Vengo per chiedere scusa” aveva annunciato il Papa, riferendosi al fatto di aver sottratto a quella comunità, particolarmente bisognosa, le cure del proprio vescovo, mons. Nunzio Galantino, chiamato a Roma come segretario generale della Cei.
Questa richiesta di perdono però sembra andare oltre la circostanza legata all’incarico conferito al vescovo. Sembra essere l’esemplare e umile attestazione di una Chiesa capace di riconoscere
quando sente di non essere stata presente in modo forte accanto ai suoi fedeli, soprattutto laddove il bisogno è più vivo.
E il concetto del perdono torna anche nel viaggio pastorale in Molise.
“Dio non si stanca di perdonare” è stato il motto scelto per accompagnare questa visita che, al tema della misericordia divina, ha affiancato il messaggio di una Chiesa che predilige i piccoli e che da questi parte per lanciare a tutti la sfida del coraggio nel futuro.
Questi tre viaggi sono parte di uno stesso percorso, di una storia che vede la Chiesa “in uscita” verso i semplici, gli umili, i bisognosi. Una Chiesa vera testimone del messaggio evangelico. Una Chiesa che sa trovare, con Papa Francesco, gli argomenti giusti per essere credibile.

Don Gianni Epifani, sacerdote e giornalista
Dalla Rivista A SUA IMMAGINE

mercoledì 2 luglio 2014

Forse tutti ce lo siamo chiesto almeno una volta: che senso abbiamo nella vita?

Mi è giunta qualche giorno fa questa richiesta da una mia amica, che per discrezione chiamo Stella, con una domanda ben precisa: che senso abbiamo nella vita?
E' una domanda che chiunque credente e non credente qualche volta si è fatta, forse in momenti di crisi e di debolezza. La reputo una domanda giusta che va oltre il momento in cui ce la poniamo. Riguarda il presente per una decisione importante, il futuro per una vita migliore.Riflettiamoci sopra, potrebbe aiutarci.






Caro Vincenzo sono un po’ triste , da giorni ho in testa una domanda alla quale spero tu possa rispondermi. Sai, ogni animale ha un senso nella vita cioè regolare le crescite ecc… ogni cosa ha un senso anche le cose che magari servono a noi, ma io mi chieo: ma noi a cosa serviamo? che senso abbiamo nella vita? Non pensare però che non sto bene, era una domanda, lo so ci ha creati il Signore ma per cosa, qual è il nostro compito? se puoi esaudirmi mi toglieresti una curiosità. Grazie e ciao! Stellla.

Ciao Stella!! Le tue domande sono state da sempre il più grande interrogativo dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, qual è il nostro posto nel mondo in cui viviamo.
Sono due le risposte che possiamo darci:
La prima di carattere generale: noi essere umani siamo esseri viventi come le piante, come gli animali con una sola distinzione: siamo intelligenti, pensiamo e decidiamo con libertà.
Mentre le piante, i fiori, l’erba…attendono tutto dalla natura per vivere e crescere, prendono tutto quando viene e gli animali sono mossi da un istinto di conservazione e procreazione e un minimo di intelligenza che consente loro di fuggire da pericoli e magari organizzarsi in gruppi, gli uomini sono molto diversi.
Gli uomini con la loro intelligenza, memoria e volontà sono capaci di pensare, prevedere, organizzare, possedere, dominare, avere dei principi morali o negarli.
L’uomo ha la capacità di soggiogare, fare suo sia il mondo vegetale che quello animale per le sue necessità o voglie.
Lo scopo, come vedi, è puramente legato alla crescita e sussistenza, sia per il regno vegetale, animale e umano.
Regno animale e vegetale fanno in questo modo un servizio all’uomo, che domina, e questo in parte è il loro scopo ultimo. Ma tutti e tre i tipi di essere viventi nascono, crescono, muoiono: è il ciclo naturale.
E’ il mondo senza Dio.

La seconda di carattere religioso: Noi a cosa serviamo, che senso abbiamo nella vita, qual è il nostro compito?
Io distinguo due tipi di uomini: non credenti  e uomini credenti in Dio
Per l’ateo la vita ha un inizio e una fine naturali: il suo scopo è vivere, conservarsi in vita, il suo comportamento è regolato da certe sue esigenze e in caso civile dalle leggi della comunità in cui vive. La morte è la fine di tutto.
Per il credente in Dio le cose cambiano e in questo caso parlo di fede: vi sono diverse religioni e tanti i modi di relazionarsi con Dio, tante usanze diverse che ne fanno la differenza, che  non sto qui ad elencare.

Veniamo a noi che crediamo in un solo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e il Dio di Gesù
Che senso abbiamo nella la nostra vita?... Siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Per noi la vita ha lo scopo di raggiungere Dio in  vista di una seconda vita beta nell’eternità in Dio.
A cosa serviamo? L’uomo non è stato creato per vivere da solo, fa parte di una comunità universale, soggetto per tanto a  diritti e doveri, con i quali tutti cerchiamo il benessere degli altri, fare in modo che tutti siano felici, godano di una vita serena, siamo chiamati ad amare.
Questo purtroppo spesso non avviene per l’ingordigia umana che è una debolezza propria dell’essere umano imperfetto: ci sono uomini buoni e cattivi frutto della nostra libertà
In questa libertà siamo chiamati, noi cristiani in particolare e uomini di buona volontà anche se non credenti, ad essere operatori di pace.
Noi credenti abbiamo una marcia in più: siamo operatori di pace perché ce lo chiede Dio Padre e il suo inviato Gesù.
A questo siamo chiamati, questo è un servizio che prestiamo,  è il nostro compito, questo dovrebbe essere il compito anche di tutti i non credenti che si ritengono uomini giusti.

Altro scopo e non ultimo il cristiano cerca la gloria di Dio, che il suo nome sia santificato e che si faccia la sua volontà, che il nome del nostro Dio nella persona del Figlio Gesù sia conosciuto e amato da tutti gli uomini. Ci sembra poco come scopo? Siamo stati chiamati a grandi cose!!

Come sarebbe bello il mondo se tutti collaborassero al bene di tutti! Non è questo forse l’aspirazione di ogni uomo di buona volontà? Non è questo il messaggio degli angeli alla nascita di Gesù : Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini di buona volontà? Non è questo il messaggio di Gesù Risorto: la pace sia con voi?

Spero di aver risposto alle tue domande: se vi fosse ancora qualche dubbio interpellami ancora. Ciao!