mercoledì 29 maggio 2013

Chiesa e famiglia 4: Tifare per i figli, per i giovani




"Il maggior bene che possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli la loro".


Il titolo questa volta è particolare, ma merita tutta l’attenzione sia dei genitori , sia di chi è mandato a collaborare con i ragazzi per la loro crescita spirituale. I giovani hanno bisogno di essere incoraggiati, stimolati, sentirsi importanti, capaci di guardare lontano non solo per il loro avvenire ma anche per la loro crescita umana e spirituale.
Noi ci attendiamo di essere soddisfatti del nostro compito nel viaggiare assieme a loro, la stessa cosa vogliono loro: noi tifiamo per loro ma sono loro a giocarsi la partita della vita. Il nostro “tifo” vuol dire presenza, incoraggiamento. "Il maggior bene che possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli la loro".
 
Tifare per i figli di Pino Pellegrino 

Sì, avete letto benissimo: la seconda mossa strategica dell'arte di educare è "tifare".
Tifare per il figlio.
Ogni bambino nasce ricco. Arriva sulla Terra con quei preziosi trecento grammi di cervello che gli danno possibilità pressoché infinite.
Sì, se utilizzassimo a pieno il nostro cervello, salterebbero tutte le scale per misurare l'intelligenza, tutti i test mentali.
Il cervello ha la capacità di immagazzinare dieci fatti nuovi al minuto secondo, può accogliere una quantità di informazioni pari a centomila miliardi!
Questo per il solo cervello.

E che dire della capacità di fantasticare, di immaginare, di creare, che risiede nella mente di un bambino? Più ancora, che dire della ricchezza del cuore che saprà amare? E della bocca che arriverà a parlare, a pregare?
Ecco il bambino: un orizzonte di possibilità incalcolabili!
Abbiamo, dunque, tutte le ragioni per essere tifosi del nostro figlio.
 
Chi tifa per una squadra, desidera che vinca, ma non può entrare in campo: deve lasciare ai giocatori il compito di condurre la partita.
Così nell'educazione: deve essere lui, il figlio, a costruirsi la vita; non possiamo sostituirlo, non possiamo prendergli il posto.


Però possiamo stimolarlo, possiamo incoraggiarlo. Possiamo tifare!Tifiamo perché il tifo passa entusiasmo. E chi ha entusiasmo ha grinta da vendere.Tifiamo perché la correzione può fare molto, ma l'incoraggiamento fa di più.
Tifiamo perché il tifo gli rivela energie nascoste. E questo è un dono straordinario. Lo sosteneva giustamente il filosofo francese Louis Lavelle (1883-1951): "Il maggior bene che possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli la loro".

A proposito di ciò che stiamo dicendo, i cinesi hanno uno stupendo proverbio: "Credendo nei fiori, si fanno sbocciare".
Gli psicologi, invece, parlano di 'effetto Pigmalione'.
Secondo la leggenda, Pigmalione era un mitico re di Cipro che aveva il dono della scultura. Un giorno scolpì, in bianchissimo avorio, una figura di donna talmente bella che desiderò diventasse sua moglie.
Pregò allora gli dèi di trasformarla in donna. Gli dèi lo esaudirono e Pigmalione sposò la statua trasformata in bellissima carne.
Ecco: il desiderio, l'occhio buono, l'aspettativa, riescono a dar vita anche all'avorio, anche alle pietre.
È provato che gli insegnanti che credono nei loro ragazzi, che attendono tanto da essi, hanno, come risposta, prestazioni superiori a quelle date ad insegnanti pessimisti, freddi, poco fiduciosi.
È la triste prova del fatto che chi stima corto l'ingegno di una persona glielo accorcia ancor più ma è anche l'attesa conferma del proverbio cinese: "Credendo nei fiori, si fanno sbocciare".

L'AUTOSTIMA
L'autostima è una molla fondamentale per la crescita del figlio.
Hanno tutte le ragioni gli psicologi a sostenere che per vivere bene, ogni persona deve riuscire a dire di se stessa: "Io sono ok!".
I genitori patentati lo sanno bene.
Quindi non usano mai (assolutamente mai!)
parole invalidanti ('stupido', 'cretino', 'imbranato'...), ma solo parole incoraggianti: 'bravo', 'siamo orgogliosi di te', 'sei forte'... Il figlio sente (quanto sente!) l'apprezzamento dei genitori! Insomma, buttiamo nel cestino della carta straccia tutte le parole che rigano l'anima!

Quindi i genitori patentati accettano il loro figlio pienamente.
Un giorno il figlio del famoso pilota canadese Gilles Villeneuve sbuffò con i giornalisti: "Tutti pretendono da me prestazioni straordinarie come quelle di mio padre. Per favore, lasciatemi essere semplicemente Jacques Villeneuve".
Questa è saggezza!
Il pazzo dice: "Io sono Napoleone!".
Il nevrotico dice: "Io voglio essere Napoleone!".
Il saggio dice: "Io sono io e tu sei tu!".

Quindi i genitori che non vogliono ferire l'autostima del figlio, dosano le loro aspettative nei suoi confronti.
Aspettative esagerate, infatti, possono produrre una stima eccessiva nel figlio, stima che sovente viene frustrata dall'insuccesso per aver puntato troppo in alto.
Di qui la delusione e la depressione. In questi casi l'autostima subisce un colpo mortale.

QUESTO DICIAMO AL FIGLIO

Perle di autostima

• Se fai ombra, è segno che ci sei!

• Non rovinarti la vita per il giro vita!

• Ama la tua pelle, è la sola che hai!

• Non dare troppo peso al peso!
 
• Non dare agli altri il potere di renderti infelice con i loro sorrisi da presa in giro.
 
• Si può essere notevoli, senza essere notati.

• Non sempre si può essere belli, sempre si può essere buoni.

• Se ti accorgi di non poter crescere in statura, cresci in simpatia!

Da Bollettino Salesiano,marzo 2013

mercoledì 15 maggio 2013

Invocazioni allo Spirito di don Tonino Bello

Pentecoste: in attesa della festa liturgica della venuta dello Spirito Santo, inviato dal Padre alla Chiesa di Gesù, propongo queste preghiere di don Tonino Bello, che moltissimi frequentatori del blog stimano, e ricercano le sue parole sempre appropriate per il bene della nostra fede.
Preghiere allo Spirito Santo, tanto necessario e indispensabile per chi vuol capire e crescere nella fede. 
Mi auguro che anche queste preghiere ci aiutino a stabilire meglio il contatto con il Dispensatore di doni, un dialogo nell'umiltà per il servizio di servi del Signore per il bene della nostra anima e del prossimo in cui dobbiamo riconoscere Gesù: ogni cosa che facciamo per gli altri lo facciomo a Lui.







Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.

Venne all’improvviso dal cielo un fragore,
quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.

Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo

e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. ( Atti 2,1-4)



Invocazioni allo Spirito di don Tonino Bello

1)    Spirito Santo, scendi ancora sulla terra e donale il brivido dei cominciamenti.




Spirito di Dio, che agli inizi della creazione ti libravi sugli abissi dell’universo, e trasformavi in
sorriso di bellezza il grande sbadiglio delle cose, scendi ancora sulla terra e donale il brivido
dei cominciamenti. Questo mondo che invecchia, sfioralo con l’ala della tua gloria.

Dissipa le sue rughe. Fascia le ferite che l’egoismo sfrenato degli uomini ha tracciato sulla sua pelle. Mitiga con l’olio della tenerezza le arsure della sua crosta. Restituiscile il manto
dell’antico splendore, che le nostre violenze le hanno strappato, e riversale sulle carni
inaridite anfore di profumi.

Permea tutte le cose, e possiedine il cuore. Facci percepire la tua dolente presenza nel
gemito delle foreste divelte, nell’urlo dei mari inquinati, nel pianto dei torrenti inariditi, nella
viscida desolazione delle spiagge di bitume.

Restituiscici al gaudio dei primordi. Riversati senza misura su tutte le nostre afflizioni. Librati
ancora sul nostro vecchio mondo in pericolo. E il deserto, finalmente, ridiventerà giardino, e
nel giardino fiorirà l’albero della giustizia e frutto della giustizia sarà la pace.


2)    Spirito Santo, torna a parlarci con accenti di speranza


 
Spirito Santo, che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna
a parlarci con accenti di speranza. Frantuma la corazza della nostra assuefazione all’esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure. Scuotici dall’omertà. Liberaci dalla tristezza di non saperci più
indignare per i soprusi consumati sui poveri. E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere
che le prime officine della violenza e dell’ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che Tu non parli solo dai microfoni delle nostre Chiese. Che nessuno
può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è.
anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei
buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e
nella rettitudine degli atei.


3)    Spirito Santo, rendici capaci di esultanza


Spirito Santo, che hai invaso l’anima di Maria per offrirci la prima campionatura di come un
giorno avresti invaso la Chiesa e collocato nei tuoi perimetri il tuo nuovo domicilio, rendici
capaci di esultanza.
Donaci il gusto di sentirci “estroversi”. Rivolti cioè, verso il mondo, che non è una specie di
Chiesa mancata, ma l’oggetto ultimo di quell’incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa
è stata costruita.
Se dobbiamo attraversare i mari che ci separano dalle altre culture, soffia nelle vele, perché,
sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più
generoso impegno missionario ci solleciti a partire.
Se dobbiamo camminare sull’asciutto, mettici le ali ai piedi perché, come Maria, raggiungiamo
in fretta la città. La città terrena, Che tu ami appassionatamente. Che non è il ripostiglio dei
rifiuti, ma il partner con cui dobbiamo “agonizzare” perché giunga a compimento l’opera della
Redenzione.

4)    Spirito Santo, consacra i sacerdoti con l’unzione a fasciare le piaghe dei cuori


 

Spirito di Dio, che presso le rive del Giordano sei sceso in pienezza sul capo di Gesù e l’hai
proclamato Messia, dilaga su questo corpo sacerdotale raccolto davanti a te. Adornalo di una
veste di grazia. Consacralo con l’unzione a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e a promulgare l’anno di misericordia del Signore.
Se Gesù ha usato queste parole di Isaia per la sua auto presentazione nella sinagoga di
Nazareth e per la stesura del suo manifesto programmatico, vuol dire che anche la chiesa
oggi deve farsi solidale con i sofferenti, con i poveri, con gli oppressi, con i deboli, con gli
affamati, e con tutte le vittime della violenza.
Facci capire che i poveri sono i “punti di entrata” attraverso i quali tu, Spirito di Dio, irrompi in
tutte le realtà umane e le ricrei. Preserva, per ciò, la tua sposa dal sacrilegio di pensare che la
scelta degli ultimi sia l’indulgenza alle mode di turno, e non, invece, la feritoia attraverso la
quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la sua opera di salvezza.

                                                       
   5) Spirito Santo, fa che la Chiesa di Cristo dimostri di averti ereditato davvero



 

Spirito Santo, dono del Cristo morente, fa che la Chiesa dimostri di averti ereditato davvero.
Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale parole e
silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero
comprenda che non è vano il suo pianto, e ripeta con il salmo: le mie lacrime, Signore,
"nell’otre tuo raccogli”.
Rendila protagonista infaticabile di deposizione ai patiboli, perché i corpi schiodati dei
sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di madre. In quei momenti poni sulle su labbra
canzoni di speranza. E donale di non arrossire mai della croce, ma di guardare ad essa come
all’antenna della sua Nave, le cui vele tu gonfi di brezza e spingi con fiducia lontano.


   6) Spirito Santo, facci scorgere le orme del tuo passaggio



 
Spirito di Pentecoste, ridestaci all’antico mandato di Profeti. Dissigilla le nostre labbra,
contratte dalle prudenze carnali. Introduci nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso.
E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per trarne vantaggio. Trattienici dalle
ambiguità. Facci la grazia del voltastomaco per i nostri peccati. Poni il tuo marchio di origine
controllata sulle nostre testimonianze. E facci aborrire dalle parole, quando esse non trovano
puntuale verifica nei fatti.
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci a vedere i riverberi delle tue fiamme nei
processi di purificazione che avvengono in tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie
ecumeniche. E in ogni uomo di buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio e invitalo a portare il lieto annunzio ai poveri.




venerdì 10 maggio 2013

Pentecoste, festa difficile Di Don Tonino Bello







Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.

Venne all’improvviso dal cielo un fragore,
quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.

Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo

e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. ( Atti 2,1-4)



Pentecoste, festa difficile  Di Don Tonino Bello



…… la Pentecoste è una festa difficile. Ma non perche lo Spirito Santo anche per molti battezzati e cresimati è un illustre sconosciuto.

È difficile, perché provoca l'uomo a liberarsi dai suoi complessi. Tre soprattutto, che a me sembra di poter individuare così:


Il complesso dell'ostrica.

 Siamo troppo attaccati allo scoglio. Alle nostre sicurezze. Alle lusinghe gratificanti del passato. Ci piace la tana. Ci attira l'intimità del nido. Ci terrorizza l'idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci sul mare aperto. Se non la palude, ci piace lo stagno.

Di qui, la predilezione per la ripetitività, l'atrofia per l'avventura. il calo della fantasia.

Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.


C'è poi il complesso dell'una tantum.

È difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci alla conversione permanente. Amiamo pagare una volta per tutte. Preferiamo correre soltanto per un tratto di strada. Ma poi, appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. E diventiamo borghesi.

Il cammino come costume ci terrorizza. Il sottoporci alla costanza di una revisione critica ci sgomenta. Affrontare il rischio di una itineranza faticosa e imprevedibile ci rattrista.

 

Lo Spirito Santo, invece, ci chiama a lasciare il sedentarismo comodo dei nostri parcheggi, per metterci sulla strada subendone i pericoli. Ci obbliga a pagare, senza comodità forfettarie, il prezzo delle piccole numerosissime rate di un impegno duro, scomodo, ma rinnovatore.



E c'è, infine, il complesso della serialità.

Benché si dica il contrario, noi oggi amiamo le cose costruite in serie. Gli uomini fatti in serie. I gesti promossi in serie. Viviamo la tragedia dello standard, l'esasperazione dello schema, l'asfissia dell'etichetta. C'è un

livellamento che fa paura. L 'originalità insospettisce. L 'estro provoca scetticismo. I colpi di genio intimoriscono. Chi non è inquadrato viene visto con diffidenza. Chi non si omogeneizza col sistema non merita credibilità. Di qui la crisi della protesta nei giovani e l'estinguersi della ribellione.



Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all'accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere che lui unifica e compone le ricchezze della diversità.


La Pentecoste vi metta nel cuore una grande nostalgia del futuro




 Dal veb

giovedì 9 maggio 2013

Lettera ai Politici: I Parte – Vivere con Sobrietà







Tutti conosciamo la situazione politica che il mondo e non solo l’Italia sta attraversando dal alcuni anni. Abbiamo urlato, pianto, sofferto per tanti sbagli di chi governa, per la corsa sfrenata di molti al potere, trascurando, anzi sfruttando sempre di più la parte debole della popolazione.
Mi accingo a pubblicare tre lettere di Monsignor Tonino Bello che molti di noi conoscono bene, lettere rivolte ai politici: chissà che qualcuno di loro, visitando questo blog, non rifletta su quello che ha fatto e che dovrà fare.
Invito a diffondere queste tre lettere.

Prima Lettera ai Politici: I Parte – Vivere con Sobrietà



Ambrogio Lorenzetti - particolare de "Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo" (1338-39)

Vivere con sobrietà, giustizia e pietà.
Mi sembra un forte articolato attorno a cui schematizzare la nostra revisione di vita.

Con Sobrietà.
Il termine “sobrietà” traduce una parola greca più complessa e più ricca, che corrisponde a: saggezza, equilibrio, padronanza di sé, moderazione, temperanza. Sobrio è colui che non è ebbro.
Sobrietà è l’opposto di ubriachezza.

Non è difficile, pertanto, intuire quale arcipelago di atteggiamenti morali viene evocato quando, parlando a uomini immersi nell’attività politica, li si esorta a vivere con sobrietà.
Non ubriacarsi di potere. Non esaltarsi per un successo. Non montarsi il capo con i fumi della gloria. Guardarsi dal capogiro dei soldi e della carriera. Coltivare  religiosamente l’autocoscienza del limite. Evitare la sbornia delle promesse. Mantenere l’equilibrio nel vortice delle passioni.
Preservarsi dalle vertigini che può dare il potere d’acquisto della propria parola, sul tavolo delle spartizioni e dei compromessi.

C’è un passo biblico molto significativo, nel libro dei Proverbi, che vieta espressamente il vino a coloro che stanno a capo di un popolo: “Non conviene ai re bere il vino, né ai principi bramare bevande inebrianti, per paura che, bevendo, dimentichino i loro decreti e tradiscano il diritto di tutti gli afflitti” (Pr. 31,4).
Ovviamente, sotto la proibizione del vino materiale, si vogliono mettere in guardia gli uomini di governo da tutto ciò che, come si suol dire, può dare alla testa. Nessuno più di loro, infatti, è esposto alla tentazione dei “fumi” e al conseguente pericolo di provocare, con ubriacature morali, l’oblio delle leggi e il tradimento dei poveri.

Da queste considerazioni deve scattare per voi una sincera revisione critica dei vostri comportamenti pubblici, che vi porti a ripudiare ogni intemperanza di potere, ad aborrire dall’esercizio smodato dell’autorità, a convincervi umilmente che anche senza di voi il mondo riesce a sopravvivere e a ritrovare l’equilibrio nelle parole del Signore: “Quando avrete fatto tutto quello che vi stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc.17,10).
Se, però, l’invito alla sobrietà richiama in causa il comportamento dei singoli, non si esaurisce certo alla sfera personale, ma tocca anche un processo degenerativo comunitario, in atto nel sistema politico nazionale, che provoca riverberi funesti perfino nelle nostre città.
Ed è la partitocrazia, che potremmo chiamare l’ubriachezza dei partiti.

I partiti, secondo la carta costituzionale, dovrebbero essere i cosiddetti “corpi intermedi” la cui funzione è paragonabile a quella che il fusto svolge nella pianta. Il nostro modello di stato sociale, infatti, assomiglia proprio ad un albero le cui radici sono costituite dal popolo e i cui rami sono dati dalle pubbliche istituzioni.
Il compito del fusto, cioè dei partiti, è quello di raccogliere e coordinare le istanze vive della base per tradurle in domanda politica organica che vada a innervarsi sui rami.

I cittadini, quindi, sia singolarmente presi, sia associati in raggruppamenti primari detti “mondi vitali”, sono le radici del sistema in quanto detengono la sovranità e delegano il potere ai loro rappresentanti affinché lo esercitino nell’interesse del bene comune. I partiti, invece, hanno il compito di incanalare le spinte sociali diverse organizzando il consenso popolare attorno a una determinata politica.
La politica, perciò, secondo una splendida espressione dei vescovi francesi, può essere definita “coagulante sociale”, in quanto stringe forze diverse attorno ad un medesimo progetto.
È successo però, purtroppo, che il fusto è impazzito a danno delle radici e dei rami.
I partiti, cioè, si sono ubriacati.

Verso il basso, hanno espropriato i cittadini e i “mondi vitali” di alcune loro mansioni primarie,  assorbendo per esempio l’informazione, l’editoria, la cultura, lo spettacolo, e spesso condizionando la vita di gruppi e associazioni.
Verso l’alto, hanno invaso quasi tutte le istituzioni dello stato, non solo lottizzandosi gli enti pubblici esclusivamente secondo criteri di appartenenza politica, ma anche mitizzando la disciplina di partito (se non addirittura di corrente) a scapito della coscienza individuale e snervando perfino la sovranità del Parlamento, sempre più ridotto a cassa di risonanza per accordi presi fuori di esso.
Non è più lo stato sociale, ma lo stato dei partiti.
Le conseguenze di questo corto circuito sono drammatiche.
Da una parte i problemi ristagnano, i progetti parcheggiano, gli intoppi burocratici si infittiscono, e perfino certe provvidenze di legge si incagliano sui fondali della sclerosi amministrativa, si usurano negli intrighi delle clientele, e naufragano nel gioco delle correnti.
Dall’altra parte cala la fiducia nella politica, visto che è stata ridotta dalla partitocrazia non a “coagulante” ma a “dissolvente” sociale. L’opinione pubblica accentua sempre più la tendenza ad angelicare la società e a demonizzare lo stato.

I giovani, pur sentendo una vivissima vocazione alla solidarietà, preferiscono riversare il loro impegno nel volontariato: questo sta a dire che rifiutano ormai le semplici proposte di gestione e cercano altrove i laboratori per la rigenerazione dell’humus etico della politica.
Si tirano indietro anche gli adulti, disgustati dallo spettacolo dei partiti che, abusando di reciproche interdizioni per osceni motivi di ingordigia nella spartizione delle pubbliche spoglie, producono, anche nelle nostre amministrazioni locali, paurosi ristagni e incredibili paralisi di governo.

Se è vero che l’impegno generoso e trasparente che si esprime in un partito, per il bene comune, è una forma altissima di carità, il fatto che le sezioni politiche si svuotino provoca nel vescovo una preoccupazione non meno sofferta di quando vede disertata la sede di un gruppo ecclesiale.
È urgente che i partiti, i quali restano pur sempre strumento essenziale della nostra democrazia rappresentativa, si disintossichino dall’ubriacatura.
Si ravvedano dal loro delirio di onnipotenza.
Riacquistino la sobrietà.

“Concorrano”, cioè, come dice l’art. 49 della Costituzione, “a determinare la politica nazionale”, ma senza la pretesa di monopolizzarla definitivamente. E tornino al loro compito fondamentale, che è quello di ascoltare la gente, educare i comportamenti, mediare gli interessi, e non certo di trasformarsi in forche caudine, da cui, anche per il più semplice sospiro, bisogna necessariamente passare, attraverso sistemi di tessere, clientele e patronati correntizi.

+ Don Tonino Bello

Seguiranno:
Lettera 2 -  Vivere con giustizia
Lettera 3 – Vivere con pietà

Lettera ai Politici: III Parte - con Pietà





Lettera ai Politici: III Parte - con Pietà


Con Sobrietà, con Giustizia e con Pietà, dice san Paolo


Rosso Fiorentino - Pietà (1537-1540 circa) Louvre di Parigi



Nel nostro linguaggio moderno, pietà è lo scrupoloso esercizio dei doveri religiosi.
Una persona si dice pia quando è fedele al Signore e osserva la sua legge.
Nella Bibbia, però, la pietà ha una estensione maggiore, perché implica anche le relazioni dell’uomo con gli altri uomini, e sembra particolarmente compromessa non solo quando si reca oltraggio a Dio, ma anche quando i poveri vengono calpestati.
In altri termini, pietà è l’atteggiamento di chi vuole così bene a Dio, che sente il bisogno di prolungare questa benevolenza rapportandosi con i fratelli.
Come empietà, che è il contrario, indica non solo il disprezzo di Dio, ma anche ogni forma di ferocia, di scelleratezza e di crudeltà nei confronti del prossimo. Non per nulla l’aggettivo empio lo si abbina spesso al sostantivo tiranno.

Bene: a che cosa san Paolo vuole in particolare richiamare voi, uomini impegnati nell’attività politica, quando esorta tutti a vivere, oltre che con sobrietà e giustizia, anche con pietà?
Anzitutto a un quadro di valori che trascenda le categorie dell’immediato, dell’effimero, del fruibile in termini di contingenza.
Oggi si sente parlare sempre più spesso di rapporto tra etica e politica.
Nelle conversazioni ritorna di frequente il tema della cosiddetta questione morale.
Si moltiplicano le tavole rotonde sul problema dell’ancoraggio della prassi politica al molo di un “assoluto” cui riferirsi come a orizzonte globale indipendentemente dalle convinzioni religiose personali.

Che cosa è tutto questo, cari amici, se non una sollecitazione a coltivare con rinnovato entusiasmo, a dispetto della nequizia dei tempi, le calde utopie, le passioni ideali e i sogni diurni oggi particolarmente in ribasso? In secondo luogo oltre che richiamarvi al “quadro” di valori, chi sa che san Paolo non voglia anche farvi pensare al “chiodo” a cui il quadro è attaccato?

Chi sa che il problema di Dio, da alcuni forse accantonato, o messo tra parentesi, o negativamente risolto, non si riproponga in questo Natale con tutta la sua cogenza spirituale che vi sottragga dall’inquietudine, vi riscatti dall’inappagamento e vi ricolmi di pace interiore?
Se è vero, però che la pietà è in primo luogo l’atteggiamento che regola il rapporto dell’uomo con Dio, non si può dimenticare che questo Dio sta sempre dalla parte degli oppressi e ritiene fatto a sé ogni gesto di misericordia riservato ai suoi poveri.
Sicché, per voi politici vivere con pietà deve significare soprattutto onorare l’uomo come icona di Dio.
Un invito pressante vorrei rivolgervi, perciò, carissimi amici, in questo momento.
Privilegiate l’uomo, più che la pietra.

Capisco che costruire un asilo, innalzare una scuola, sistemare una piazza, ampliare un porto, edificare un mercato, sottoscrivere un progetto di espansione urbanistica gratifica di più che disegnare scientificamente la mappa cittadina del disagio o impostare con rigore tecnico il centro di animazione sociale del quartiere, o provvedere al servizio domiciliare degli anziani, o istituire strutture per l’accoglienza di minori in difficoltà, o allestire speciali programmi riabilitativi per i portatori di handicap, o predisporre forme di accoglienza perché i dimessi dal carcere o dagli ospedali psichiatrici non vadano allo sbando, o potenziare i servizi sociali perché raggiungano in modo organico, dignitoso e tempestivo, coloro che vivono ad alto rischio di emarginazione.
Sì, perché la pietra lascia incisa la firma per i secoli futuri. Il cuore dell’uomo, invece, sopporta l’autografo soltanto il tempo necessario per dire “grazie”.

Ma ricostruire l’uomo vale infinitamente di più che costruirgli la casa.
Adoperatevi, vi supplico, perché migliori la qualità della vita nelle nostre città.
Mettete più spirito di sacrificio per arginare i guasti di tanta disoccupazione giovanile: non con palliativi demagogici e superficiali, ma con investimenti seri di tempo più che di soldi, di cervello più che di espedienti, di passione più che di calcolo.

Aprite gli occhi sul degrado umano procurato dalla droga, dalla delinquenza minorile, dai cento fenomeni di malcostume che indicano un forte abbassamento di orizzonti etici. La siringa trovata in villa deve fare impallidire la giunta comunale più dei liquami di una fognatura, fuoriusciti in piazza durante una cerimonia ufficiale.

Impegnatevi perché ogni scelta politica tenga sempre presente gli ultimi.
Misuratevi più decisamente con le povertà, aborrendo dal gestirne i bisogni con atti occasionali, e favorendo, invece, quei piani complessivi di intervento per i quali sono predisposte anche delle provvidenze di legge, ma che la pigrizia o la leggerezza o l’incompetenza lasciano scandalosamente inutilizzate.

Vigilate affinché i processi di crescente disuguaglianza tra cittadini, o gruppi, o categorie sociali, non finiscano col favorire sempre chi è in grado di organizzare meglio la domanda trasformando così lo stato in commesso degli interessi dei più forti.

Se questa “pietà” per l’uomo vi farà anteporre alle pietre i problemi pubblici della salute, dell’educazione, della cultura, del lavoro, del rispetto per l’ambiente, della partecipazione…Gesù Cristo, che ha promesso il Regno a chi avrà dato un solo bicchiere d’acqua fresca per amore, non sarà avaro neppure con chi è convinto di non averlo mai incontrato su questa terra.
Non vi scoraggiate, amici. Chiedete al Cielo il dono di una genialità nuova che vi metta in grado di esprimere, su scenari politici più giusti, il vissuto e le ansie dell’uomo contemporaneo, alle soglie del terzo millennio.

E non lasciatevi cadere le braccia quando, nonostante il vostro impegno personale improntato a trasparenza e rettitudine, vi vedete destinatari di sospetti da parte di chi, non comprendendo la vostra fatica, spara nel mucchio con raffiche ingenerose di luoghi comuni.
Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l’onesta. E la speranza non delude!

Tanti auguri, carissimi amici.
Siate portatori della pubblica gratitudine presso le vostre famiglie, costrette spesso, per il bene di tutti, a rinunciare alla vostra presenza in casa.
Possiate trovare nel vostro duro lavoro il sostegno dei cittadini, la solidarietà dei collaboratori, il rispetto degli avversari, il consenso degli ultimi, la benedizione di Dio.

La Vergine Maria vi preservi dal pianto.
Ma vi conceda il privilegio di intenerirvi davanti alle sofferenze dei poveri.
Fino alle lacrime.
+ Don Tonino Bello


martedì 7 maggio 2013

Lettera ai Politici : Seconda parte - Giustizia



Lettera ai Politici: II Parte - con Giustizia di don Tonino Bello




“La solidarietà  è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.Giov. Paolo II



Louis-Simon Tiersonnier - Allegoria della Giustizia (Beauvais 1713 o 1718 - Parigi 1773).


Con Sobrietà, ma anche con Giustizia, ci dice san Paolo.
...non sarebbe giusto che il vescovo, ergendosi a giudice freddo dall’alto delle sue sicurezze teologiche, rischiasse di fare una lettura approssimativa e semplificatoria di fenomeni complessi che, per essere ricondotti a trasparenza morale, richiedono, in chi li osserva, umiltà e pazienza più che declamazioni profetiche saccenti e disincarnate.

Smettendo allora di stendere lamenti, e volgendo in termini propositivi il richiamo di san Paolo, penso che non ci sia nulla di meglio che invitarvi a meditare su un passaggio fortissimo della Sollicitudo rei socialis. È il paragrafo 38, in cui il Papa, superando le antiche definizioni della giustizia intesa come virtù che spinge a dare a ciascuno il suo, adopera il termine più estensivo di “solidarietà”.
È una pagina splendida. Meriterebbe di essere ritagliata e custodita nel portafoglio. Non solo lo esorcizzerebbe dal pericolo di gonfiarsi di soldi a danno del prossimo, ma diverrebbe il più bel breviario del vostro impegno etico, volto alla promozione della giustizia e allo smantellamento di quelle strutture di peccato che, purtroppo, contano agenzie periferiche anche nelle nostre città.

Ecco che dice il Papa: la solidarietà non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano la brama del profitto e la sete del potere. Questi atteggiamenti e strutture di peccato si vincono solo (presupposto l’aiuto della grazia divina) con un atteggiamento diametralmente opposto: l’impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a perdersi a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a servirlo invece di opprimerlo per il proprio tornaconto“.

Non potrebbe essere questa la griglia su cui innervare la revisione critica del vostro comportamento di uomini politici?
Tutti siamo veramente responsabili di tutti“.
È più che una formula. È l’icona del bisogno struggente di cieli nuovi e di terra nuova, nascosto nel cuore di tutti.
Se si ammette che la solidarietà è l’imperativo etico fondamentale attorno a cui si deve innervare l’impegno dell’uomo, cade ogni legittimazione per moltissimi parametri di giudizio che finora facevano tranquillamente parte del nostro guardaroba spirituale.

Non si può più giudicare con sufficienza chi lotta contro la produzione delle armi, o contro il loro commercio, clandestino e palese. È vietato sorridere sugli slanci di chi parla di difesa popolare nonviolenta, o sostiene l’obiezione di coscienza. Non è ammissibile tacciare di follia chi teorizza la smilitarizzazione del territorio, o progetta modelli di sviluppo più legati alla vocazione dell’ambiente. Non va guardato con sospetto chi invoca leggi meno discriminatorie nei confronti dei terzomondiali, o si batte perché siano rispettati i diritti delle minoranze. Non va compatito chi disserta sulla remissione del debito dei paesi in via di sviluppo, o “farnetica” su un nuovo ordine economico internazionale.

L’etica della solidarietà, insomma, una volta introdotta nei nostri criteri di valutazione, obbliga partiti, sindacati e istituzioni allo smantellamento graduale di tutte quelle basi strategiche che finora hanno sorretto le antiche ideologie della sicurezza nazionale.
Anche se questa nuova coscienza planetaria, però, è una conversione indispensabile che ormai deve connotare lo stile dei raggruppamenti politici e delle istituzioni democratiche, non è il cambio più urgente che, a proposito di giustizia, ritengo debba avvenire nella gestione della cosa pubblica.

È, invece, un altro: il trasferimento nell’area obbligata dei diritti, e quindi anche dei doveri, di tutto ciò che spesso sembra lasciato alla zona incontrollata della vostra discrezionalità.
Continuare a mantenere larga questa zona significa perpetuare l’equivoco di un potere che crea dipendenze. Significa accarezzare manie pericolose di prestigio, se non proprio di dominio.
Significa coltivare sacrileghe mentalità da demiurghi. È come voler essere ago di una bilancia che, però, si fa di tutto perché rimanga falsa. Non tanto per rubare sul peso, quanto per dimostrare che la misura eccedente è frutto di magnanimità.

Io penso che oggi la truffa più grossa non si compie sottraendo, ma aggiungendo: aggiungendo apparentemente, è logico! In questo modo, è vero che si dà a ciascuno il suo, ma lo si dà facendo intendere che quel che gli si è dato non è tutto “suo”.

È questa un’operazione diabolica, soprattutto perché coperta dall’alibi morale che, in fondo, non si è sottratto nulla, non ci si è arricchiti a danno del prossimo, né si sono create ingiustizie sostanziali. A ben pensarci, però, si è rubata una gratitudine indebita che alla lunga potrà anche fruttare. Ci si è arricchiti di un potere d’acquisto sul mercato del consenso. E si è creato quel vassallaggio clientelare che è il vero bubbone maligno delle nostre strutture.

Attenzione, amici. Aggiustate le bilance! Perché non si ruba solo quando si ricava profitto sulla merce. Si ruba anche quando si ricava potere sulle coscienze.

+ Don Tonino Bello





venerdì 3 maggio 2013

Voglio credere, di Papa Francesco



Voglio credere        


Testo di papa Francesco, scritto del 1969 poco prima di essere ordinato sacerdote, tratto da Avvenire del 31 marzo 2013.




      
Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna.

Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all'incontro per invitarmi a seguirlo.

Credo nel mio dolore, infecondo per l'egoismo, nel quale mi rifugio.
Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare... senza dare.
Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me.

Credo nella vita religiosa.
Credo di voler amare molto.
 
Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d'estate.
Credo che papà sia in cielo insieme al Signore.

Credo che anche padre Duarte  stia lì intercedendo per il mio sacerdozio.
Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l'amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all'incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen”.








mercoledì 1 maggio 2013

Chiesa e famiglia 3 : seminare fin dai primi giorni della vita del figlio






Carissimi Genitori, operatori di catechesi, catechisti, animatori

Siamo al terzo appuntamento: i catechisti, ogni operatore di catechesi, ogni animatore deve rapportarsi ai bambini, ai ragazzi con lo stesso comportamento dei genitori, con lo stesso amore, per ottenere lo stesso scopo: avviare i “giovanotti” verso cose grandi, buone  e sante, diventare uomini giusti e possibilmente religiosi, pii, amanti del prossimo e di Dio.

Seminare  di Pino Pellegrino

Seminare è la mossa-base dell'arte di educare
Educare, infatti, è una lunga pazienza: oggi si getta un seme...domani si raccoglierà.
Hanno trovato in Egitto chicchi di grano risalenti ai tempi dei faraoni; qualcuno li ha seminati: dopo pochi mesi ondeggiavano spighe ripiene di ottimo frumento!
Potenza del seme! 




Per questo l'educatore crede nel seme.
Poco, tanto..., non importa: lui semina.
Semina fin dai primi giorni della vita del figlio.
Semina l'amore perché senza amore non si vive.
Semina il coraggio perché la vita è sempre in salita.





Semina la speranza perché la speranza è la spinta per continuare.
Semina l'ottimismo perché l'ottimismo è il motorino d'avviamento di tutto.
Semina un buon ricordo perché un buon ricordo può diventare la maniglia a cui aggrapparsi nei momenti di sbandamento.
Semina Dio perché Dio è il basamento di ogni cosa.

L'educatore semina!

Semina perché il seme è molto più di una speranza: è una garanzia. Lo diceva bene il poeta libanese Kahil Gibran (1883-1931): "La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di sradicare i semi".
 
Al poeta libanese fa eco il grande scrittore russo Feodor Dostoevskij (1821-81): "Occorre solo un piccolo seme, un minuscolo seme che gettiamo nell'animo di un uomo semplice ed esso non morirà, ma vivrà nella sua anima per tutta la vita, resterà nascosto in lui tra le tenebre, tra il lezzo dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un sublime ammonimento".
D'accordo al cento per cento! 




Insomma il bravo genitore è un buon seminatore!
Seminare è il suo primo dovere.
San Bonaventura (1217-1274) diceva: "Il merito non sta nel raccogliere molto, ma nel seminare bene" (Grazie per l'incoraggiamento!).
Seminare è la sua prima responsabilità.


Il proverbio recita: "Chi semina chiodi, non vada in giro scalzo!".
I cinesi hanno questa bella immagine: il bambino è come un foglio bianco, tutti quelli che gli passano vicino gli lasciano un segno, gli gettano un seme.
Dio voglia sempre un seme di grano buono, mai di zizzania! 




LE 13 STRATEGIE PER ESSERE GENITORI QUASI PERFETTI

Educare è arte da imparare. L'istinto non basta: è meglio documentarsi.
Ha ragione l'ideatore del “Telefono azzurro” Ernesto Caffo a sostenere che "un adulto non diventa genitore automaticamente: è un processo mentale che richiede tempo".
Sì, come non basta avere un piano per essere un buon pianista, così non basta aver figli per essere buoni genitori.

Marcello Bernardi (1922-2001), il nostro più famoso pediatra del secolo scorso, ci manda a dire che "diventare genitori non è obbligatorio. Ma quando uno lo diventa deve darsi una bella regolata e stare attento a quello che fa!".
Insomma, fare il genitore non è un lavoro per gente pigra!

L'educatore e attore statunitense Bill Cosby (1937) era convinto che "essere genitori è, a volte, più stressante che essere presidente degli Stati Uniti".
Senza arrivare a tanto, una cosa è certissima: il genitore patentato deve saper compiere alcune mosse che sono come i plinti dell'educazione. Dunque, a partire da questo numero del nostro bollettino presenteremo quelle che ci sembrano le più fondamentali strategie dell'arte di educare.


Perché il lettore non smarrisca il filo conduttore, ecco quello che sarà l'ordine di comparsa: 1: Seminare. 2: Tifare. 3: Aspettare. 4: Amare. 5: Parlare. 6: Risplendere. 7: Comandare. 8: Rallegrare. 9: Far faticare. 10: Sbagliare. 11: Pregare. 12: Tagliare il cordone ombelicale. 13: Lasciare un buon ricordo.



PREZIOSA È LA SERA
 

Il momento più propizio per seminare è la sera
!




Di sera è più facile avere pensieri miti, pensieri di pace. La sera è benigna, è tenera, è discreta.
Per questo è l'occasione magica dell'incontro e dell'intimità.
Di sera sentono anche i sordi, perché di sera si parla con il cuore.
Non sprechiamo la sera!
Don Bosco (1815-1888), che di educazione si intendeva, ha capito che le ore della sera sono importanti. Per questo ha voluto la 'Buona notte': quel discorsetto affettuoso che nelle case salesiane il direttore rivolge alla sua 'famiglia' per chiudere la giornata.
Non sprechiamo la sera!
Lo scrittore tedesco Johann P. Richter (1763-1825) era convinto che "le parole che un padre dice ai figli, di sera, nell'intimità della casa, nessun estraneo le sente al momento, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri". 



BOUTIQUE PEDAGOGICA
 
• "I bambini d'oggi sembra sappiano tante cose, e le sanno, ma sotto il bambino tecnologico c'è quello eterno che non può vivere senza l'affetto e l'amore di qualcuno" (Mario Lodi, maestro scrittore).

 • "Il bambino non è un animaletto da addomesticare. Insegnargli a fare riverenze, smorfie, salutini, è ridicolo ed inutile. Non manchiamogli di rispetto. Anche se piccolissimo ha la sua dignità" (Marcello Bernardi, pediatra). 

• "Nei grandi allevamenti dell'Ovest americano non è permesso, nelle fattorie, adoperare nessuna espressione volgare. Se una 'pedagogia animale' ha simili esigenze nelle regioni selvagge del Far West, può la 'pedagogia umana' rimanere indietro?" (F.W. Foerster, pedagogista).

 • "Alla larga dalla saggezza che non piange, dalla filosofia che non ride, dalla grandezza che non si inchina davanti ai bambini!" (Kahil Gibran, poeta libanese). 





                 Semina fin dai primi giorni della vita del figlio.
Semina l'amore perché senza amore non si vive.


Testo da Bollettino Salesiano Febbraio 2013