giovedì 29 luglio 2010

LETTERA AI GIOVANI - C'è una strada preparata per ciascuno

ANCH’IO CI GIRO di don Carlo Terraneo

Ti sono debitore
di una manciata di parole.
- A proposito di che?
In questi mesi la conversazione ha avuto un percorso vocazionale:
la scelta, il cammino, il distacco, l'attesa, la prova...
Sempre più su (altius), sempre con più intensità (fortius), sempre senza pausa (citius).

Il volo verso l'alto è l'anelito di tutti.
Dio c'è. E' presente.
Lascia in tutti la sua traccia.
Tutti fanno esperienza di trascendenza.
L'andare oltre  è arrivare a Dio.

C'è gravità e gravità:
una ti spinge verso il basso
e una ti spinge in alto.
La prima ti fa camminare, la seconda ti fa volare verso la meta.

Il senso di Dio invade la tua vita,
ti investe come un'onda che ti solleva, ti porta e ti muove.
Tu non sei l'onda, ma vivi in essa.

Dio è la luce che ti fa vedere chi sei.
Dio ti fa sentire vivo.
Sentirsi vivi è sentirsi amati.
La bellezza della vita è racchiusa in tre parole:
“Ti voglio bene”
Accorgersene è Paradiso.
Nessuno sa quanto sia grande
un cuore che ama.
Tutti possono testimoniare
quanto si è piccini quando non si ama.

Guarda in alto.
Impara dal sole.
Di solito nella vita si chiede:
impara a dare.
Di solito se si dà, si dà qualcosa:
impara a dare di più.
Di solito se si dà di più,
è tanto quello che ci si tiene.
Impara a dare tanto.

Come il sole:
luce, calore, vita, pane, stagione, raccolti.
Se la luce del sole ti abbaglia,
prova a chiudere gli occhi cinque minuti.
È il modo migliore per scoprire
i petali della tua vita.
Mi sento un girasole.
Amo i suoi colori e la sua luce.

E tu?
- Attorno al sole, anch'io ci giro.
La vita può essere vissuta in due modi:
o ti lasci illuminare
o ti spegni
Un abbraccio.
                                                 Tuo Carlo             

Da Bollettino Salesiano, giugno 2010

lunedì 26 luglio 2010

Ricordi il giorno della tua prima comunione?

Il giorno della prima comunione   

Ricordando il giorno della prima Comunione (8 maggio 1884) Teresa di Lisieux scrive: «Come fu dolce il bacio di Gesù all'anima mia! Fu un bacio d'amore, mi sentivo amata, e dicevo anche: “Vi amo, mi do a Voi per sempre”» (Teresa di Lisieux).

Un’altra carmelitana scalza ricorda così il giorno della sua prima Comunione (11 settembre 1910): "Fu un giorno bello anche per la natura: il sole spandeva i suoi raggi ricolmando la mia anima di felicità e di ringraziamenti al Creatore... Quello che passò nell’anima mia verso Gesù non è cosa che si possa descrivere. Gli chiesi mille volte di prendermi e sentii per la prima volta la sua voce. Gli chiesi grazie per tutti... Gesù, dopo quel primo abbraccio, non mi lasciò più e mi prese per Sé" (Teresa di Los Andes).

Queste due testimonianze ci permettono di riflettere sul dono eucaristico che riceviamo nel giorno della prima Comunione. Cosa ne hanno fatto queste due donne (Teresa di Lisieux e Teresa di Los Andes) di quel primordiale abbraccio tra la creatura e il Creatore? Lo hanno rinnovato con amore e gratitudine, non hanno permesso che quel giorno – così solenne per la vita di ogni cristiano – diventasse l’ultimo!
Vi sembrerà strano ma per molti, qualche volta, il giorno della Comunione è il primo e l’ultimo!

Quando eravamo piccoli (in età di catechismo) le cose che riguardavano Dio ci erano familiari. Conoscevamo il significato della parola Sacramento, sapevamo a memoria i Comandamenti della legge di Dio e potevamo facilmente commentarli. Eravamo addirittura in grado di spiegare – con la semplicità caratterizzante del bambino – la misteriosa unità tra Gesù e il nostro cuore, che si realizzava nel giorno della nostra prima comunione. E con quale fierezza, la domenica successiva, ci presentavamo davanti al sacerdote per ricevere la nostra seconda Eucaristia, come a voler dire a tutti: “adesso anche io sono parte di questo grande mistero”!

Quando poi si diventa grandi, talvolta, si viene a creare un terribile vuoto interiore nella nostra vita. Diventi più grande, inizi a responsabilizzarti, fai le prime scelte; studi, conosci e comprendi dal punto di vista sociale e umano,
e dal punto di vista della fede?
Otto, dieci, vent’anni (dal giorno della tua prima Comunione) di buio interiore. Chi è Cristo? Non ricordi più nulla… sacramenti, comandamenti…!!!

Forse sono discorsi da bambini, ma se i bambini sono coloro che sono capaci di mostrarci lo stupore e la gioia di appartenere a Cristo… allora vale la penna ritornare ad essere un po’ bambini!!!

Michelangelo Nasca da Pastorale&Spiritualità

martedì 20 luglio 2010

Un futuro da progettare, costruire: una scvelta di vita

Scelta di vita: cos’è? Cosa fare?



Ogni uomo o donna, è proiettato verso un futuro da progettare, costruire, renderlo visibile, relazionare con gli altri. Le domande più frequenti: chi sono, cosa vorrò fare della mia vita?

Per il cristiano rispondere a questa esigenza di affermazione nel futuro, chi essere? non può prescindere di mettere nel piatto la sua fede e come conformarsi ad essa. Il cristiano non segue un’ideologia ma una persona, uomo-Dio, la sua parola, la sua vita, Gesù di Nazaret. Inoltre ha a che fare col suo prossimo, gli altri uomini, per comandamento divino.
Il cristiano si riconosce uomo, creato ad immagine e somiglianza divina, creatura speciale dotata di intelligenza e volontà, libero nelle sue scelte: prima uomo e poi cristiano convinto che la sua fede in Dio deve essere espressa con una risposta di fiducia e di speranza per raggiungere l’ultimo scopo della vita, la beatitudine eterna in Dio.
Si tratta di un progetto, di una scelta di vita.

- Progettare: cosa fare?
- Costruire: come fare?
- Rendere visibile: come fare sapere agli altri chi sono
- Relazionare: non possiamo fare a meno degli altri

Penso e credo che per un cristiano rendersi conto di tutto questo è importante, ma anche è utile per ogni uomo onesto anche non credente: esistono valori etici a cui tutti per solidarietà, onestà, giustizia dobbiamo attenerci.

Hans Kung scriveva: “ Fiducia di fondo e fede cristiana, morale di fondo e morale cristiana, éthos mondiale e éthos cristiano stanno in rapporto tra loro. Il secondo termine è sempre l’approfondimento del primo. Quello che il primo ha, non deve incondizionatamente avere anche il secondo. Io penso: chi possiede un éthos mondiale, una fiducia di fondo e un éthos di fondo non ha assolutamente bisogno di essere credente in Dio e cristiano.
Sono contento di essere cristiano e di avere questo fondamento. Io so perché in una determinata situazione devo agire incondizionatamente così e non solo condizionatamente…
…Io devo prendere conoscenza che c’è gente che dice: “ Io non credo in Dio, ma cerco di attraversare la vita da onesto”. Io accetto ciò. In questo senso l’éthos mondiale dà la possibilità a tutti gli uomini di diventare giusti, anche agli atei e agli agnostici…
… L’éthos non è tutto nella vita dell’uomo, ma una dimensione del tutto decisiva”. (Hans Kung in “Perché un’etica mondiale” Queriniana).

Ecco la base di partenza per le nostre decisioni prima di programmare la nostra vita e relazionarci agli atri.
Ciò che appartiene alla natura dell’uomo è stato voluto da Dio nel suo atto creatore e Lui stesso, Dio, rispetta questa normativa fin da quando nei secoli ha cercato, nella sua pedagogia divina, di far tornare a lui l’uomo disobbediente, creato libero.
Su questa natura e su questa libertà dell’uomo dobbiamo contare per progettare la nostra scelta di vita umana e di vita cristiana.

Non sarò vero cristiano se non sono un autentico uomo: uomo giusto, uomo pio che vive in comunità con i suoi simili con i quali condivide diritti e doveri in un regime di solidarietà universale.
Nulla togliamo agli altri, ma come cristiani abbiamo una marcia in più: l’esempio e le parole di Gesù, inviato dal Padre per rivelarci l’amore di Dio per l’uomo, l’amore per Dio dell’uomo, l’amore tra gli uomini. L’amore è la più grande rivelazione di Gesù.

Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo. Se uno dice: << Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo>>. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che no vede. E’ questo il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”. (1 Giov 4,19-21)

Seguendo i Vangeli dobbiamo rispondere alle domande iniziali e trovare risposte adeguate convinti che l’amore può cambiare il mondo. Scegliere per il cristiano vuol dire uniformarsi all’amore di Dio.

Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell’amore!" ( 2 Giov, 6.)

Camminare con una scelta precisa nella via dell’amore: è il primo di molti passi, il primo atto da rinnovare ogni giorno.


Progettare

M7 7,24-27) "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".

Costruire

Luca 14:28-30
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.

Rendere visibile

Lc 15, 8-10: "O quale donna, se ha dieci dracme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte".

 Mt 13, 31-35 Un'altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami".
Un'altra parabola disse loro: "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti". Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: "Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo".


Relazionare:

Matteo 25, 14-30 “Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.  A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.  Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.  Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.  Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.  Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.  Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.  Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.  Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.  Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.  Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.  Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.  Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.  Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.  E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.


Abbiamo una nostra storia da costruire, dobbiamo essere disponibili a rischiare a metterci in gioco, investire, dare il meglio di noi stessi impiegando il massimo delle nostre capacità, portare frutto e avere cura di ciò che siamo, di ciò che abbiamo e di ciò che dobbiamo.


venerdì 16 luglio 2010

Il volontariato internazionale cristiano: un fenomeno dinamico

“Il volontariato non è un fenomeno statico ma dinamico”


Mario Fornero, volontario rientrato,  ha dedicato la sua vita al volontariato internazionale,prima come volontario in Burundi e poi come animatore, divulgatore e testimone di un impegno cristiano a favore di colore che hanno meno e contano meno in un mondo egoista e di conseguenza ingiusto.Ha inviato questo secondo articolo che pubblichiamo interamente.
Sono gradite riflessioni e commenti.



“Il volontariato non è un fenomeno statico ma dinamico”, è quanto riportavo nel mio primo scritto.
I cambiamenti non sono avvenuti solo nei rapporti qui in Italia con il Ministero Affari Esteri e con la Conferenza Episcopale (CEI) ma anche nei rapporti con i nostri interlocutori nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Ci si è resi conto che il nostro compito non è quello di gestire i progetti ma di sostenere i progetti gestiti da loro. Questo nuovo modo di operare Vincent Cosmao (teologo del Centro Lebret di Parigi) lo chiama “Partecipazione responsabile contrattuale”.

Tutti questi cambiamenti hanno modificato, in molti Organismi, l’aspetto gestionale.
 Al loro interno si sono organizzati “gruppi di lavoro” impegnati nei vari settori come i progetti e l’educazione alla mondialità. Anche per quanto riguarda i candidati volontari la loro provenienza non è più solo da gruppi ecclesiali (parrocchie, movimenti) ma persone con un bagaglio di esperienze molto diversificate e per la maggior parte con studi universitari.

Inoltre è aumentato l’impegno nel settore dell’ Educazione alla mondialità, coscienti che alle volte i paesi ricchi con il loro comportamento ostacolano l’avvio di uno sviluppo che promuova autonomia e partecipazione.

Il sistema economico all’interno del quale stiamo vivendo “non funziona più per produrre dei beni, bensì per far circolare dei capitali: il gioco è diventato l’attività per eccellenza in quell’enorme casinò che è diventato il mondo, in cui il lavoro sarà presto riservato ai sistemi robotizzati di macchine che  fabbricano macchine.” E’ quanto dichiarava Vincent Cosmao nel 1987.

giovedì 15 luglio 2010

Rimanere nell’Amore: scelta di vita


Quando l’amore diventa vita, di Padre Augusto Drago




Scelti ed amati, quando ancora nel silenzio venivano tessute le nostre viscere, quando, ancora informi, nel grembo materno, gli occhi di Dio coprivano con il loro sguardo d’amore ogni cosa di noi (cf. Salmo 139, 13-16), tali siamo stati da sempre!
Chiamati all’amore, innestati nello scambio di amore delle Persone della Trinità santa, veniamo alla luce appartenenti già a Dio, già scelti da Lui, già acquistati a caro prezzo, già amati, profondamente amati!

Solo in quest’ottica possiamo comprendere le parole che Gesù dice nel Vangelo: “Rimanete nel mio amore (Gv 15,9). Rimanete! Non dice “entrate”, ma “rimanete” perché l’Amore del Padre ci ha già fatti suoi.

“Rimanete!”. Verbo che torna più volte nel Vangelo di Giovanni ed in particolar modo nella similitudine della vite (Gv 15, 1-8), dove forma il cuore del messaggio che ci è dato.

Gesù non ci chiede grandi cose, grandi impegni, grandi sforzi. Ci esorta semplicemente a rimanere in Lui. Un invito così semplice da sembrarci persino banale, così inattivo da spingerci a metterci in movimento. Tuttavia pensiamolo nella concretezza del nostro vivere quotidiano. Riandiamo alle situazioni della vita, quelle che ci circondano e che spesso ci accerchiano, fino a soffocarci e spingerci a gettare la spugna, dicendo “non ce la faccio più. E’ tutto inutile….”.

 E’ difficile il dialogo e l’incontro nella vita matrimoniale, nell’esperienza all’interno delle nostre comunità, è difficile l’incontro con i figli, le difficoltà economiche, le malattie, le incomprensioni, la solitudine, la delusione….Eppure ancora una volta ritorna l’invito inerme e allo stesso tempo dolcemente pressante di Gesù: Rimanete nel mio Amore! Rimanete in Me!

E se pensiamo al mondo del lavoro, con le sue incoerenze, con la sua logica del profitto, dove l’uomo non conta più nulla, nemmeno nella sua dignità, perché viene defraudato dai suoi diritti e strumentalizzato solo da una logica disumana, secondo la quale l’uomo stesso vale per quel che produce, e non per sé stesso come persona, allora ci assale lo sconforto. Nulla contano la sua famiglia, l’affetto sponsale, i suoi figli, i luoghi del suo vivere dignitosamente. Quante volte si vorrebbe fuggire, scappare da queste strutture di peccato che opprimono, quante volte diventa assillante il desiderio di chiudere la porta, perché tutto si fa troppo pesante per le nostre povere spalle, tanto fragili ed incapaci di portare pesi così esistenzialmente pesanti! Ma l’invito di Gesù rimane sempre lo stesso: “Rimanete nel mio amore, rimanete in me! Senza di me non potete far nulla!”

Ma perché la seconda parte delle Parole di Gesù, alle volte finisce per offenderci al punto che non ascoltiamo nemmeno la prima parte? La dimentichiamo, quasi feriti nel nostro orgoglio di volere fare ancora da soli: salvarci o dannarci da noi stessi! Non è facile sentirci dire che da soli non possiamo farcela. Peggio ancora: da soli non possiamo far nulla! In una cultura, come la nostra, in cui diventa vergogna il manifestare agli altri le proprie difficoltà, i propri limiti, le proprie sconfitte, le proprie paure, Gesù ci viene a dire che senza di Lui non possiamo far nulla! In questa corsa forsennata e disumana a costruire un’immagine perfetta di sé, c’è Qualcuno che rema contro! C’è Qualcuno che ci inquieta, c’è Qualcuno che ci vuole squalificare!
Ma non è affatto così.

Proviamo, per un attimo a girare questo prisma, proviamo, attraverso la lente dell’Amore da cui siamo amati, a leggere e comprendere quello che sta al cuore delle Parole di Gesù.

Innanzitutto, facciamo un passo indietro. Lasciamo dietro le spalle il nostro orgoglio e mettiamoci in ascolto del Padre che ci ama e del Figlio, nostro Fratello, che ci tiene per mano. Riascoltiamo in questo atteggiamento interiore le Parole che scuotono il nostro orgoglio: “Rimanete in me, perché senza di me non potete far nulla!”. Ecco: Dio Padre conosce il mondo nel quale viviamo e il male che vi serpeggia. Conosce le battaglie che ingaggiamo ogni giorno in famiglia, in comunità, nel lavoro, nella nostra vita relazionale, nella nostra stessa carne. Egli sa di che cosa siamo plasmati, conosce le nostre impotenze e le nostre fragilità, comprende i nostri limiti. Scrive a riguardo san Giovanni nella sua prima Lettera: “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1 Gv 3,20). Proprio per questo ci dice: “Rimanete in Me!”.

In una breve escursione in montagna, quando il sentiero da largo e piano diventa stretto e ripido, la mamma, ben conoscendo le fragili gambine del proprio figlioletto, lo esorta a non allontanarsi da lei, ad afferrare la sua mano ed a tenerla ben stretta, per arrivare incolumi alla meta. Ed insieme vanno, tra richiami e rimproveri, con la certezza che quella è la strategia giusta per camminare sicuri. Nessuno pensa che quella mamma voglia umiliare il proprio bimbo, o che voglia con la sua forza soffocarlo, impedendogli in tal modo di crescere. C’è, al contrario tanta tenerezza, tanto amore nel cuore di quella mamma! Dio, in Cristo Gesù, si comporta esattamente così con noi! Perché allora rifiutare di essere aiutati, restando non solo accanto a Lui, ma restando in Lui?

Mettiamo la nostra mano in quella di Gesù, nostro Fratello, e lasciamoci condurre da Lui.
Ma cosa significa in concreto rimanere in Lui? Semplicemente questo: far sì che Gesù diventi lo spazio vitale della nostra esistenza, del nostro agire, del nostro vivere.

Questo spazio, offertoci gratuitamente, è lo spazio dell’Amore da cui siamo amati. In altri termini Gesù vuol dirci: lasciatevi amare.

Questo è il punto cruciale. Il nostro egocentrismo vuole essere padrone di tutto, anche dell’amore. Vuole gestire tutto ciò che riguarda la vita. Proprio per questo vuole più amare che essere amato!

Nell’amare c’è sempre la nostra soggettività e quindi la gioia o meglio la soddisfazione che “io” gestisco l’amore come a me piace. Nell’essere amati, invece si è passivi: si accoglie ciò che ci viene donato, si è recettivi. Solo dopo aver accolto l’Amore si può veramente amare: difatti l’amore del Signore, in cui rimaniamo, ci insegna ad amare in spirito e verità e soprattutto nella libertà del cuore e della mente.
Non si può amare se prima non si impara ad essere amati! Il nostro amore nei confronti del Signore e dei fratelli, altro non è che lo stesso Amore di Dio, nel quale rimaniamo, il
quale esso stesso, in noi e per mezzo nostro, diventa dono.
Allora l’Amore diventa veramente vita!

Comprendiamo in tal modo perché Gesù continua a ripeterci: “Rimanete nel mio Amore”! Ce lo ripete per farci comprendere che se non accogliamo il Suo Amore come terra in cui abitare, non sapremo mai amare e resteremo sempre poveri nel cuore. Ed ogni amore, al di fuori di questa prospettiva, è solo parvenza, manifestazione di una forza affettiva, che tuttavia non centra il proprio obiettivo, che è quello di essere libero e non condizionante.
D’altra parte, nella spiritualità cristiana, questo è un aspetto assolutamente centrale. Per essere attivi, prima dobbiamo cedere il passo all’azione dello Spirito che ci rende passivi, recettivi. Da qui nasce poi tutto il nostro agire, che ci rende attivi e reattivi, dentro i confini dell’Amore stesso!

Quante sono le situazioni della nostra vita che ci sembrano più grandi di noi! Anche la stessa fedeltà all’Amore, che Dio, il Padre, ci ha consegnata come eredità nel Figlio suo, ci appare molto difficile! Essere coerenti, saper gestire secondo Dio i momenti di prova, portare Gesù nel mondo, non scendere a compromessi…Tutte queste situazioni non sono battaglie nostre, perché sono superiori alle nostre forze, ne cogliamo il peso e ne percepiamo tutta la nostra inadeguatezza. Siamo troppo fragili. Volendo risolvere da noi stessi i problemi finiamo per esserne schiacciati. Ma Dio non ci lascia soli, ci dona il Suo Amore.

L’Amore di Dio combatte tutte le nostre battaglie e le supera. E’ proprio questo Amore, se accolto, che vince in noi e per noi. Poiché, tuttavia, Dio non fa nulla in noi senza di noi, occorre che collaboriamo insieme: noi e Lui. Egli ci dona il suo Amore, noi lo accogliamo nella semplicità e povertà di un cuore umile, ed in questo Amore il nostro Amore diventa vita che vince tutte le battaglie.
Noi amiamo perché l’Amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato! (Cf. Rom 5, 5).
Alleluia!

Pubblicato da Pastorale&Spiritualità



Un approccio ai salmi: preghiera del popolo ebreo


I salmi: vita e preghiera di un popolo eletto



I salmi sono un libro dell’Antico Testamento, sono espressione della vita del popolo d’Israele, sono la preghiera del popolo di Dio.
Un popolo che vince le guerre per intervento divino finché rimane fedele a Dio che mai rinnega l’alleanza, perdona e castiga secondo le vicende del suo popolo, ma esige fedeltà e obbedienza alla sua legge.

Il dono della legge segue al patto che Dio stabilisce con il suo popolo e vincola Dio e popolo al rispetto dell’alleanza. Ciò che risalta è che Dio è sempre fedele, ma l’uomo no!

La preghiera espressa nei salmi rivela esattamente la condizione umana, come singolo e come popolo: all’idolatria segue il castigo di Dio, al pentimento il perdono. Possiamo dire che nei salmi troviamo richieste a Dio e risposte da Dio: supplica, speranza, rinnovo della fede e fiducia in Dio, lamenti, assenza di Dio, lode, ringraziamento, adorazione: Dio risponde sempre con bontà e misericordia.
Nei Salmi tutti i sentimenti umani diventano preghiera.

L’uomo si rivolge a Dio col suo linguaggio corrente, con le sue abitudini, con i suoi modi di pensare e di fare nel suo vivere quotidiano; vede in Dio l’essere onnipotente che interviene nel mondo con modi e azioni dal fare umano: castiga, lotta contro i nemici per farli morire, per toglierli “dalla faccia della terra”. Dio è visto come un essere superiore al servizio dell’uomo  fedele. Dio è  giudice, premia, castiga; è “scudo”, “roccia” che difende e salva dal male, è arbitro e giudice del conflitto esistente nel mondo tra il bene e il male.

La fede biblica è celebrazione delle azioni di Dio verso il suo popolo, fiducia ancorata al concetto di fede e lode interessata, è convinzione che Dio ha a cuore il suo popolo.

La preghiera, espressa nei salmi, a volte poeticamente con parole e frasi simboliche, parla di presenza di Dio, di pentimento e di perdono, di fede e di speranza, di lode e di ringraziamento, di solitudine, di silenzio di Dio. La preghiera biblica è il riconoscimento della pochezza dell’uomo e l’onnipotenza di Dio, è professare e meditare le grandi opere di Dio. Nella preghiera dei salmi vediamo riscritta, in forma diversa, la storia dell’uomo orante che è la storia del popolo d’Israele: la preghiera è un dialogo con Dio in cui Dio ha parlato per primo; l’uomo interviene con i suoi problemi e i suoi interessi per sollecitare l’intervento di Dio, forza e misericordia. Forse un Dio fatto a misura dei bisogni dell’uomo?
                           
La preghiera dei salmi è tutto questo, ma la cosa che più chiama l’attenzione è il desiderio di un popolo che vuole conoscere la volontà di Dio espressa nei suoi comandamenti, conoscenza che desidera vedere il volto di Dio, essere in Dio previo una purificazione totale del cuore. E questa è la novità: l’uomo aspira ad avvicinarsi a Dio, conoscerlo sempre meglio per unirsi a lui.

Il linguaggio dei salmi non sempre è appropriato al nostro modo di parlare, pensare e agire: “I salmi ci si presentano come antiche preghiere formulate con un linguaggio totalmente differente dal nostro, frasi incomprensibili, simbolismo e immagini che, al giorno d’oggi non dicono più niente. Ignoriamo il contenuto cui si riferiscono, tratta di situazioni che non abbiamo vissuto Fino a quando non approfondiamo la nostra conoscenza dei salmi, non riusciamo a scoprire la nostra vita umana. Se scavassimo in profondità sia nei salmi come nella nostra vita, ci renderemmo conto che si tratta di vasi comunicanti la cui base è comune: l’uomo che cerca il senso della vita, l’uomo che si confronta col Mistero e trova in Dio riflesso nei mille drammi della sua esistenza.
I salmi sono nati dalle mille situazioni esistenziali che l’uomo continua a sperimentare anche oggi: gioia e tristezza, malattia e guarigione, guerra e pace, persecuzione e abbandono, fiducia e frustrazione, dolore, amore e morte”. Mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, settimana biblica, 27/09/2007.)


Nella meditazione cerchiamo le verità che Dio con la rivelazione vuole farci conoscere. I salmi sono Parola di Dio, ma anche parole, preghiere dell’uomo a Dio. Dai salmi dobbiamo cogliere gli atteggiamenti di vera religiosità che il salmista unitamente al popolo ebreo seppero incarnare: noi ci vedremo diversi?

Nei salmi troviamo tutti i termini della teologia ebraica, teologia intesa come discorso su Dio e confronto di vita nell’osservanza della legge divina: potremmo definire questa teologia anche teologia pastorale in quanto capace di indicare un cammino verso Dio, evitando il male, abbracciando la fede e la fiducia in Dio.

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         I salmi ci insegnano a confrontare la nostra vita con i sentimenti del salmista, copiare la sua disposizione d’animo, sentire la presenza di Dio nella nostra vita, imparare a parlare e dialogare con Dio, attendere e sapere ascoltare le risposte di Dio, conoscere Dio, cercare il Volto di Dio e stare alla sua presenza.

I salmi, abbiamo detto, sono parola di Dio e preghiera dell’uomo, scritti per ispirazione di Dio per fare conoscere all’uomo, all’umanità, il suo volere che è sempre un bene perché è l’amore che spinge Dio a parlare all’uomo: i salmi diventano così un modello della vita e della preghiera di tutti gli uomini.


E’ importante tener presente, a nostro vantaggio di uomini di oggi che abbiamo conosciuto la rivelazione di Gesù, che gli ebrei hanno conosciuto Dio che sta nell’alto dei cieli, a cui obbedire, da cui poter ottenere grazie, perdono, prodigi, assistenza.
Sicuramente hanno intravisto l’amore di Dio per l’uomo, ma non l’amore che gli uomini devono avere per Dio.

 Con Gesù il rapporto di Dio verso l’uomo cambia, la legge rimane, ma completata con la rivelazione di Dio Padre, che è amore e pretende amore.
Con Gesù l’amore di Dio per gli uomini diventa comunione, amore non più a un senso solo, Dio per gli uomini, ma anche amore dell'umanità per Dio per mezzo di Gesù.

Giov14,21-24 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.
Gli disse Giuda, non l’Iscariota: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato”.

Confrontando la nostra preghiera con quella del salmista, ci accorgeremo che molte cose ci sono in comune: siamo uomini, donne, con le stesse necessità, ma con un’altra cultura, con altre conoscenze e
con qualche rivelazione in più. Sarà una preghiera che esprime, come per il salmista e il popolo ebreo, la nostra storia personale o di comunità. Dio guarda alla nostra vita, al nostro presente e al nostro futuro.

Dio ci ha parlato per primo insegnandoci quanto è necessario per seguirlo con i suoi comandamenti. Nella preghiera rispondiamo come il salmista a questi insegnamenti ricordando le meraviglie che il Signore ha compiuto nei nostri riguardi: parleremo dei nostri guai e tensioni, valuteremo la nostra fede nel Signore, la nostra speranza nelle sue promesse, conosceremo le meraviglie dell’opera di Dio degno d'essere lodato, ringraziato. Inoltre sarà interessante apprezzare l’amore di Dio per l’uomo, e infine il nostro amore per Dio che è la risposta più bella che possiamo dare a Dio.

Ricordo le parole di Giovanni Paolo secondo alla conclusione del Giubileo del 2000.
Ogni parrocchia diventi un’autentica scuola di preghiera, dove l’incontro con Cristo non esprima soltanto una richiesta di aiuto, ma anche: ringraziamento, ascolto, fino a un vero innamoramento del cuore”.

Dal libro “l’uomo biblico alla ricerca del volto di Dio” di enzo riili


martedì 13 luglio 2010

L'avaro e Dio

Un avaro disse a Dio:
- Che cosa sono per te 1000 anni?

E Dio rispose:
- Ma, poco piu' di un secondo.

- E che cosa sono per te 100.000.000 di lire?

E Dio:
- Ma, forse un centesimo.

E allora - disse l'avaro
- cosa ti costa darmi un centesimo?
Certo - rispose Dio - aspetta solo un secondo.

Cercare nuovi modi di essere Chiesa nei momenti di crisi?

Pubblichiamo questo articolo di Enzo Bianchi, apparso su La Stampa del 4 luglio del 2010, perché ci sembra doveroso parlare della sofferenza di tutta la cristianità in questo ultimo periodo in cui la Chiesa nella persona del Papa è stata attaccata da molte parti. Il Papa ha condannato il male, il peccato nella chiesa fatta di uomini e dato direttive. Vogliamo lanciare un monito a tutti i predicatori di sciagure: se voi siete santi scagliate la prima pietra, ma forse sono così ottusi e poveri di spirito da non accorgersi delle brutte notizie, cattive, che tutti i giorni ci notificano Tv e giornali e  del bene che la Chiesa compie tutti i giorni, assoluto silenzio!!
A tutti i fratelli cristiani siano di conforto le parole di Gesù: le forze del maligno non prevarranno contro la Chiesa: La Chiesa è santa perché il suo fondatore è santo, a noi il compito di una scelta di santità.


Per i cristiani è l'ora dell'umiliazione
ENZO BIANCHI

“Per i cattolici e per la loro Chiesa questa è un’ora segnata da fatica e sofferenza. Se negli anni del post concilio era sembrato che tra Chiesa e mondo non cristiano - nella sua pluralità di espressioni religiose, filosofiche, ideologiche ed etiche - fosse finalmente sbocciato il dialogo e fosse possibile un ascolto reciproco nel rispetto e nell’accoglienza, ora invece dobbiamo costatare la contrapposizione, spesso la sordità e a volte l'inimicizia.

“Molti non credenti, che sembravano aver accettato un dialogo franco con i cattolici, ora delegittimano la Chiesa non riconoscendole neppure la capacità di stare nello spazio democratico delle nostre società. Ormai nelle librerie non è raro incontrare un'apposita sezione dedicata a libri anticlericali e più spesso anticristiani: testi dove viene negata e a volte ridicolizzata la vicenda storica di Gesù di Nazareth, in cui il cristianesimo viene letto storicamente come una presenza intollerante e aggressiva in Occidente e invasiva nelle altre terre. È in questo clima di «attacco» e di «polemica» che la vicenda degli scandali di pedofilia ha ulteriormente aggravato la situazione, giungendo a una «umiliazione» della Chiesa.

“Basterebbe l'immagine della polizia che presidia la sede dell'arcivescovado di Malines-Bruxelles tenendo in situazione di fermo per una giornata l'intera conferenza episcopale belga per chiedersi con sgomento come questo sia stato possibile, in particolare in una nazione come il Belgio. Sì, com'è possibile che in Belgio - una nazione che fino a quarant'anni fa ha dato alla Chiesa universale il maggior numero di missionari, monaci e religiose; una nazione dove la Chiesa ha avuto una forte connessione con la corona regale e ha accompagnato tutta la storia coloniale del Paese - venga misconosciuta la funzione educativa, caritativa e culturale svolta dalla Chiesa e questa sia trattata come una qualsiasi associazione per delinquere, senza che questo desti reazioni nell'opinione pubblica? Una Chiesa, quella belga, che è stata tra le protagoniste della stagione di dialogo e di apertura conciliare e che ora vede le tombe dei suoi primati trattate alla stregua di nascondigli per corpi di reato...

“Bisogna riconoscere che in Occidente la Chiesa è diventata una minoranza, davvero esigua in alcuni Paesi: la Chiesa è diventata debole perché ha perduto - anzi, a volte ha liberamente rinunciato - la posizione che occupava nell'epoca della cristianità. Non solo, ha anche mostrato di non essere irreprensibile, come molti si erano illusi che fosse, ha mostrato che il male, il peccato la abita come abita il mondo. E tuttavia si deve constatare che c'è a volte anche cattiveria nel dare notizia delle colpe, quasi una rivalsa che si nutre di accuse enfatizzate e che giunge fino alla delegittimazione della Chiesa in quanto tale. Del resto le polemiche sono anche state stimolate da quanti, senza l'esercizio di una prudenza minima, hanno esternato accuse o sono intervenuti con poco buon senso, ottenendo l'effetto di scatenare altre polemiche. Né ci dobbiamo stupire se molti di quelli che erano soliti osannare Giovanni Paolo II ora lo contrappongono a Benedetto XVI, giungendo fino a denigrarlo: uno spettacolo davvero poco cristiano e poco umano!

“Ma quale atteggiamento possono assumere i cristiani in questa situazione? Quanti tentano seriamente di essere cristiani non dovrebbero meravigliarsi di questo «incendio» che si è manifestato in mezzo a loro e tra loro e il mondo. È l'apostolo Pietro a scrivere così ai primi cristiani in diaspora: «Non siate sorpresi dell'ostilità, della persecuzione... non avete ancora subito persecuzioni fino al sangue!». Il cristiano sa, deve sapere, che la sua missione e il suo messaggio non sono facilmente riconosciuti: in un mondo «ingiusto», qualunque messaggio sulla «giustizia», qualunque iniziativa di giustizia desta reazioni anche violente. È una necessitas umana, storica, che il vangelo cerca di raccontare nella vicenda di Gesù di Nazareth: una vicenda innanzitutto umana.

“Quindi il cristiano deve accettare in questo momento l'umiliazione, sapendo che solo quando si è umiliati si inizia a conoscere l'autentica umiltà, che altrimenti resterebbe una virtù troppo soggetta all'astrazione e all'ipocrisia. Questa è un'ora di purificazione per la Chiesa: non solo purificazione della memoria come volle profeticamente Giovanni Paolo II con la confessione dei peccati dei cristiani in occasione del Giubileo, ma anche purificazione nel presente, nel qui e ora della storia. Da questa contrizione, da questa sofferenza può scaturire una «riforma» della Chiesa, perché questa è semper reformanda, non è infatti il regno dei cieli stabilito sulla terra, ma ne è solo segno e inizio.

“Occorre inoltre reagire a questo «incendio» rinunciando ad assumere posizioni di arroccamento in una cittadella che recrimina e risponde attaccando, per l'angoscia e l'ansia incombenti. Le ostilità che vengono dall'esterno sono solo occasioni perché i cristiani siano più obbedienti al vangelo, occasioni per realizzare a caro prezzo l'insegnamento di Gesù. Ciò che come cristiani dobbiamo temere non viene da eventuali nemici esterni: l'attentato più forte al vangelo può venire invece da noi cristiani, dall'interno della comunità dei credenti. Benedetto XVI lo ribadisce con regolare frequenza, indicando così la lettura più decisiva per la vita ecclesiale oggi.

“Infine è necessario riconoscere che forse dobbiamo cercare anche nuovi modi di essere Chiesa e di fare Chiesa: meno conflittuali all'interno, più sinodali nel discernere i cammini percorsi e quelli da intraprendere, più sapienti e nutriti di buon senso umano ed evangelico nel dirimere le questioni e i problemi. Oggi vi sono persone tentate di lasciare la Chiesa, di proseguire per la propria strada, ma questa non è una via praticabile per chi è veramente discepolo di Gesù e sa di vivere in una solidarietà di peccatori chiamata nella conversione e divenire una comunione autentica. Sì, è l'ora di scegliere il silenzio per discernere la parola, è ora di ricominciare con la grammatica della pazienza, è l'ora di accettare offese e tradimenti senza cessare di credere agli uomini, è l'ora di temere senza avere paura”.

lunedì 12 luglio 2010

Gesù ci ha offerto il volto di Dio amante della vita e della felicità dell’uomo


FELICITÀ E SOFFERENZA


Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione più forte e consistente dell’esistenza, il punto di incontro e di convergenza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità.

Certo, questa esperienza comune si frastaglia in mille direzioni differenti. Tutti possiamo riconoscerci nel bisogno di felicità: ma quale felicità cerchiamo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne assicurano il possesso? e gli altri, in questa appassionata ricerca, che posto hanno?

Le provocazioni ci sfidano e ci aiutano a pensare, facendoci riscoprire alla radice dell’esperienza cristiana la figura di Gesù, che ci ha offerto il volto di un Dio amante della vita e della felicità dell’uomo. Peraltro, le crisi nel rapporto tra vita e felicità non riguardano solo noi cristiani. Chiunque ama la vita e cerca la gioia duratura per sé e per gli altri, non riuscirà certamente ad accontentarsi di proposte che legano la felicità unicamente al possesso, alla conquista, al potere, al solo piacere, all’egoismo personale o di gruppo.


L’esperienza della fragilità

Come credenti, abbiamo una convinzione irrinunciabile, che ci viene dalla nostra esperienza cristiana. Su di essa cerchiamo il confronto con tutti coloro che preferiscono la vita alla morte e cercano la felicità come la qualità profonda di questa stessa vita. La vita è bella nonostante tutte le prove e le disavventure, perché esistiamo e sperimentiamo l’amore.

Non per tutti, certo, è così. La vita è segnata in tutte le sue fasi e le sue forme dalla fragilità: la fragilità del nascituro, del bambino, dell’anziano, del malato, del povero, dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, del carcerato. In tutte le età ci sono sofferenze fisiche, psichiche, sociali. Come avviene per la felicità, anche l’esperienza del dolore ci accomuna tutti.

Come in ogni situazione umana si sperimenta la fragilità, così ogni ambiente vitale è frutto di un fragile equilibrio. Nei volti delle famiglie ci sono spesso più lacrime da asciugare che sorrisi da raccogliere. Nella vita ci sono sofferenze che arrivano contro ogni nostra aspettativa e ci sono anche sofferenze che nascono dai nostri errori e dalle nostre colpe, quelle che costruiamo con le nostre mani: quando, ad esempio, diamo la prevalenza all’avere sull’essere; quando ci carichiamo di cose inutili; quando diamo la precedenza alle cose sulle persone, agli interessi materiali sugli affetti.

La fragilità rimane una grande sfida: da sempre essa ha suscitato interrogativi, problemi, dubbi. Un personaggio della Bibbia è diventato una sorta di riferimento per coloro che hanno il coraggio di riflettere sul dolore. Si tratta di Giobbe: con il suo nome chiamiamo chi soffre ingiustamente e chi giustamente ha motivi per lamentarsi. Con Giobbe ci chiediamo: perché dobbiamo soffrire e morire?

Molti non conoscono le parole che la Bibbia mette sulle labbra di Giobbe nel momento in cui il contatto con il dolore diventa bruciante. Parole simili, forse, le abbiamo gridate noi stessi, una o tante volte:

Perisca il giorno in cui nacqui…
Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?
Perché due ginocchia mi hanno accolto,
e due mammelle mi allattarono? …
Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi di illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate…
Ricordati che un soffio è la mia vita,
il mio occhio non rivedrà più il bene.

                          (Giobbe 3,3. 11-12; 7,2-3. 7)

Da “Lettera ai Cercatori di Dio”, Conferenza Episcopale Italiana, Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

venerdì 9 luglio 2010

Noi ci impegniamo senza pretendere...


Impegno per chi crede nell’amore


Noi ci impegniamo…

Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.

Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
La primavera incomincia con il primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua
l’amore col primo pegno.
Ci impegniamo
perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta
a impegnarci perpetuamente.



Autore: don Primo Mazzolari

Io, tu, noi e la parrocchia

La tua parrocchia

Collabora, prega e soffri per la tua parrocchia, perché devi
considerarla come una madre a cui la Provvidenza ti ha affidato:
chiedi a Dio che sia casa di famiglia fraterna e accogliente, casa
aperta a tutti e al servizio di tutti. Da' il tuo contributo di
azione perché questo si realizzi in pienezza. Collabora, prega, soffri
perché la tua parrocchia sia vera comunità di fede: rispetta i preti
della tua parrocchia anche se avessero mille difetti: sono i delegati
di Cristo per te. Guardali con l'occhio della fede, non accentuare
i loro difetti, non giudicare con troppa facilità le loro miserie
perché Dio perdoni a te le tue miserie. Prenditi carico dei loro
bisogni, prega ogni giorno per loro.

Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia una vera comunità
eucaristica, che l'Eucaristia sia 'radice viva del suo
edificarsi', non una radice secca, senza vita. Partecipa
all'Eucaristia, possibilmente nella tua parrocchia, con tutte le
tue forze. Godi e sottolinea con tutti tutte le cose belle della tua
parrocchia. Non macchiarti mai la lingua accanendoti contro
l'inerzia della tua parrocchia: invece rimboccati le maniche per
fare tutto quello che ti viene richiesto. Ricordati: i pettegolezzi,
le ambizioni, la voglia di primeggiare, le rivalità sono parassiti
della vita parrocchiale: detestali, combattili, non tollerarli mai!

La legge fondamentale del servizio è l'umiltà: non imporre le tue
idee, non avere ambizioni, servi nell'umiltà. E accetta anche di
essere messo da parte, se il bene di tutti, ad un certo momento, lo
richiede. Solo, non incrociare le braccia, buttati invece nel lavoro
più antipatico e più schivato da tutti, e non ti salti in mente di
fondare un partito di opposizione!

Se il tuo parroco è possessivo e non lascia fare, non farne un dramma:
la parrocchia non va a fondo per questo. Ci sono sempre settori dove
qualunque parroco ti lascia piena libertà di azione: la preghiera, i
poveri, i malati, le persone sole ed emarginate. Basterebbe fossero
vivi questi settori e la parrocchia diventerebbe viva. La preghiera,
poi, nessuno te la condiziona e te la può togliere.

Ricordati bene che, con l'umiltà e la carità, si può dire qualunque
verità in parrocchia. Spesso è l'arroganza e la presunzione che
ferma ogni passo ed alza i muri. La mancanza di pazienza, qualche
volta, crea il rigetto delle migliori iniziative.

Quando le cose non vanno, prova a puntare il dito contro te stesso,
invece che contro il parroco o contro i tuoi preti o contro le
situazioni. Hai le tue responsabilità, hai i tuoi precisi doveri: se
hai il coraggio di un'autocritica, severa e schietta, forse avrai
una luce maggiore sui limiti degli altri.

Se la tua parrocchia fa pietà la colpa è anche tua: basta un pugno di
gente volenterosa a fare una rivoluzione, basta un gruppo di gente
decisa a tutto a dare un volto nuovo ad una parrocchia. E prega
incessantemente per la santità dei tuoi preti: sono i preti santi la
ricchezza più straordinaria delle nostre parrocchie, sono i preti
santi la salvezza dei nostri giovani.

Paolo VI, riportato da NetCrim.org

venerdì 2 luglio 2010

Fede è accoglienza di Dio, che per primo ci cerca e si dona

Fede è credere nonostante lo scandalo, offrire segni positivi

La possibilità della fede

“Aumenta la nostra fede!” A questa richiesta degli Apostoli - voce di tutti coloro che sono alla ricerca di Dio con umiltà e desiderio - Gesù risponde così: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, direte a questo monte: ‘spostati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Matteo 17,20). Credere non è anzitutto assentire a una dimostrazione chiara o a un progetto privo di incognite: non si crede a qualcosa che si possa possedere e gestire a propria sicurezza e piacimento. Credere è fidarsi di qualcuno, assentire alla chiamata dello straniero che invita, rimettere la propria vita nelle mani di un altro, perché sia lui a esserne l’unico, vero Signore.

Crede chi si lascia far prigioniero dell’invisibile Dio, chi accetta di essere posseduto da lui nell’ascolto obbediente e nella docilità del più profondo di sé. Fede è resa, consegna, abbandono, accoglienza di Dio, che per primo ci cerca e si dona; non possesso, garanzia o sicurezza umane. Credere, allora, non è evitare lo scandalo, fuggire il rischio, avanzare nella serena luminosità del giorno: si crede non nonostante lo scandalo e il rischio, ma proprio sfidati da essi e in essi. “Credere significa stare sull’orlo dell’abisso oscuro, e udire una voce che grida: gèttati, ti prenderò fra le mie braccia!” (Søren Kierkegaard).

Eppure, credere non è un atto irragionevole. È anzi proprio sull’orlo di quell’abisso che le domande inquietanti impegnano il ragionamento: se invece di braccia accoglienti ci fossero soltanto rocce laceranti? E se oltre il buio ci fosse ancora nient’altro che il buio? Credere è sopportare il peso di queste domande: non pretendere segni, ma offrire segni d’amore all’invisibile amante che chiama.

Da “Lettera ai Cercatori di Dio”, Conferenza Episcopale Italiana, Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi